lunedì 26 gennaio 2015

“Metter quattro fichi in mano”, i diversi significati simbolici dietro al dolce fico


La storia di oggi è molto golosa e ha come protagonista il fico. L’occasione per parlare di questo zuccheroso frutto è legata al concorso “A ME PIACE FICOTTO” promosso da Scatti Golosi e dall'azienda Terrevecchia, così posso descrivere brevemente come l’uomo si è ingegnato nel conservare questo delicato frutto per poterlo commercializzare e mangiare tutto l’anno, come l’ha venerato e infine come oggi tale antico frutto è riscoperto e riproposto; per fare ciò uscirò addirittura dai confini campani e arriverò fino alla Lucania.

I fichi e i suoi diversi significati simbolici 

L’albero di fico e i suoi frutti sono sempre stati presenti nella cultura, nella storia dell’uomo mediterraneo e nella storia dell’uomo cristiano, infatti, limitandomi al mondo greco-romano, fu venerato dagli antichi perché simbolo di fertilità, vita e prosperità poiché dai suoi rami spezzati fuoriesce un liquido bianchiccio che ricorda il latte materno, simbolo di nutrimento.

I romani lo veneravano, anzi, lo rispettavano perché sacro a Marte padre, secondo la leggenda, dei gemelli Romolo e Remo che, abbandonati lungo il Tevere, trovarono protezione sotto la folta chioma di un fico e nutriti da una lupa. Tale albero fu ribattezzato fico ruminale la cui origine etimologica, secondo due diverse interpretazioni fatte dagli stessi antichi, poteva derivare sia da mammella, in latino ruma, chiaro riferimento alla resina bianchiccia, oppure da Romolo, fondatore di Roma. Esso era così venerato e rispettato che occupava il centro del foro perché considerato fausto.
Inoltre, era sacro anche al greco Dioniso, dio per eccellenza della fertilità, sostituito dalle nostre parti da Priapo che assimilò anche la foglia di fico come uno dei suoi vari simboli.

Nella religione cristiana, invece, le foglie di fico intrecciate tra loro vestirono le nudità di Adamo ed Eva dopo che ebbero mangiato il frutto della conoscenza;
osservando attentamente i tanti rilievi medievali che impreziosiscono le imponenti facciate di chiese e cattedrali, come ad esempio quelli presenti sulla facciata del duomo di Orvieto i quali raffigurano su pietra le scene tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento scolpiti da Lorenzo Maitani con un gusto narrativo ricco di dettagli realistici, quindi, secondo una lettura iconografica, per tutto il Medioevo, l’albero del sapere era raffigurato con le sembianze di quelle di un fico essendo considerato da secoli il simbolo per eccellenza di nutrimento, in questo caso dello spirito e della mente. Nel tempo e in seguito ad un fraintendimento linguistico la parola pomo, che indicava un qualsiasi tipo di frutto, fu tradotto in mela e il mediterraneo l’albero di fico fu sostituito da quello di mele.

Adamo ed Eva- particolare del Duomo di Orvieto

I tanti modi di mangiar fichi

Tra tradizione e........
“Metter quattro fichi in mano” è uno dei tanti detti antichi che mostrano come il fico è stato per secoli l’indiscusso protagonista dei frugali pasti contadini, ma nel tempo, però, il suo ruolo sulla tavola è cambiato.

L’albero di fico è originario dell’Arabia meridionale e fu portato lungo le coste meridionali della nostra penisola durante la colonizzazione greca. Il clima fu così favorevole che questi alberi, in particolar modo nella sua varietà bianca, si diffusero lungo tutte le coste caratterizzando, insieme all'albero d’ulivo, buona parte del nostro paesaggio rurale.
Alla loro diffusione contribuì certamente la bontà del frutto che poteva essere mangiato per quasi tutto l’anno una volta essiccato al caldo sole del sud, in questo modo divenne uno degli alimenti principali della dieta di chi lavorava la terra, come ci informano Catone e Varrone nei loro scritti, di chi viaggiava, come testimoniano i diari di bordo quattrocenteschi.
Per la facilità di essiccazione e di commercializzazione divenne uno dei prodotti più apprezzati e venduti nel Mediterraneo e da frugale piatto da asporto per contadini e marinai, perché zuccheroso ed energetico, divenne frutto lussuoso e i nobili signori facevano di tutto per averli sulle loro tavole, così da semplice cibo divenne una leccornia e una prelibatezza per pochi fino ad arrivare a cibo speciale da consumarsi in determinate ricorrenze.

Infatti, in Campania durante i giorni che precedono il Natale si trovano sui banconi dei mercati le cosiddette ciociole, ovvero frutta essiccata quali: albicocche, prugne, uva sultanina, datteri e soprattutto i fichi bianchi provenienti dal Cilento, preparati in diversi modi.


Il fico del Cilento dop, è un ecotipo derivato dalla cultivar madre “dottato” varietà presente in tutto il Mezzogiorno. Questi fichi sono preparati in diverso modo; semplicemente essiccati vengono chiamati “e pupatelle”, in italiano “moscioni”, perché tonde e dolci, oppure essiccati, cotti al forno ed aromatizzati con alloro, detti “a corone fichi così chiamati perché i fichi, prima di infornarli, vengono infilati, come una corona appunto, in un ramo sottile e duttile di un lauro. Inoltre vengono impastati insieme alla mela cotogna, cacao e cioccolato ricavandone un dolce semplice che viene solitamente chiamato “a cotognata”.
Queste prelibatezze sono solo alcune delle tante meraviglie gastronomiche che si posso apprezzare girando per la Campania, ce ne sono altre legate anche alle singole tradizioni familiari e dimostrano come i fichi fanno parte non solo della dieta ma anche della tradizione dolciaria campana.

a sinistra i fichi con l'alloro, a destra le pupatelle
… innovazione, ma con uno sguardo al passato.
Come accennato, l’albero di fichi caratterizza il paesaggio rurale della nostra penisola, infatti, accanto alla varietà di fico bianco cilentano, ci sono altre due varietà presenti, però, nell'entroterra lucano, che negli ultimi anni si stanno riscoprendo, sono quelle dei fichi “Saverio” e “Fico rosa di Pisticci”.
Grazie proprio a questo giveaway, ho scoperto alcuni metodi legati alla conservazione di questi buonissimi fichi lucani che prima non conoscevo. E la realtà imprenditoriale che sta valorizzando queste antiche varietà di fichi è l’azienda Terravecchia la quale sta proponendo sul mercato, unendo l’innovazione tecnologia alla tradizione, antiche ricette di conservazione come: il “Ficotto”, i “Fichi caramellati”, i “Fichi al miele” e i “Fichi al peperoncino”, tutti realizzati raccogliendo i frutti al giusto punto di maturazione, cotti e caramellati in sciroppo dopodiché vengono collocati manualmente in vaso, ciò permette di conservare tutte le loro caratteristiche organolettiche lasciandoli, però, sodi.
Tali prodotti possono essere abbinati a preparazioni dolci o salate e grazie a una sezione del concorso “A ME PIACE FICOTTO” aperto ai foodblogger, consultando il sito dell’azienda potete leggere varie ricette.
vari prodotti realizzati dall'azienda Torrevecchia
Affresco che si può ammirare nella villa di Poppea.

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