Uscendo da Napoli e andando in direzione Portici si trova un interessante museo che l’appassionato di treni non può non andare a visitare, è il Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa. Questo museo racconta gli ultimi 170 anni di storia dell’Italia attraverso lo sviluppo dei treni e della rete ferroviaria, che inizia con il modello Bayard fino ad arrivare agli attuali e super-tecnologici treni dell’alta velocità.
Il museo sorge in uno dei più importanti complessi di archeologia industriale italiana ed è, giustamente, uno tra i più bei musei ferroviari dell’Europa per la sua estensione, per la ricchezza del materiale conservato e per la bellezza del posto e per questi motivi vi consiglio di visitarlo chiedendo al gentilissimo personale di accompagnarvi a conoscere i vari modelli esposti perché solo così potrete scoprire i mille segreti che si nascondono dietro a delle “insospettabili” locomotive, ovviamente io vi svelerò qualcosa ma vi lascio anche un poco di curiosità.
Ferdinando II di Borbone e la nascita dell'industria ferroviaria a Napoli
Vesuvio, Napoli e una panoramica del Museo Petrarsa |
La nascita di questo complesso industriale è legata alla nuova politica di sviluppo promosso dal nuovo re Ferdinando II di Borbone, salito al trono nel 1830, che aveva come obiettivo il rinnovamento e affrancamento del Regno delle due Sicilie dalla supremazia industriale e tecnologica straniera. Tale illuminata politica portò all'inaugurazione il 3 ottobre del 1839 del primo tratto ferroviario lungo 7.406 metri che univa Portici a Napoli; il treno inaugurale era composto da due convogli, in cui sedevano il re con la famiglia e alcuni membri della c
orte, trainati da locomotive gemelle la Bayard e la Vesuvio progettate dall'ingegnere Armand Bayard de la Vingtre su modello di quella inglese di George Stephenson.
Questo ambizioso progetto di unificare il Regno anche attraverso la rete ferroviaria portò al trasferimento dell’originario nucleo dell’Opificio da Torre Annunziata a Pietrarsa- zona situata tra Portici, San Giorgio a Cremano e San Giovanni a Teduccio-, nacque così nel 1840 il Reale Opificio Meccanico, Pirotecnico per la locomotiva.
Una volta realizzato, l’Opificio destò meraviglia e ammirazione in tutti i sovrani perché era all'avanguardia sia come modello organizzativo del lavoro sia per la distribuzione degli spazi produttivi tanto che quando venne in visita da Ferdinando II lo zar Nicola I rimase così meravigliato che ordinò al suo ingegnere di copiare la sistemazione delle macchie e dei padiglioni per meglio riprodurli in Russia; se pur le prime locomotive s’ispiravano a quelle inglesi, l’organizzazione e la competenza era tutta partenopea, infatti il complesso industriale di Pietrarsa è il primo vero nucleo industriale d’Italia, precedette di circa 50 anni sia la fondazione Breda che quello della Fiat.
La Bayard e alcuni suoi particolari |
La scelta di costruire a Pietrarsa- che in origine si chiamava Pietra Bianca ma in seguito all'eruzione del 1631 del Vesuvio l’area fu arsa da qui e per tutti Pietrarsa- non fu casuale, la presenza poco distante del grande porto di Napoli e il mare permettevano il facile rifornimento delle materie prime e dell’esportazione dei prodotti ultimati. L’Opificio raggiunse il suo massimo sviluppo nel 1853 e lo mantenne fino al 1861, infatti dopo l’Unità d’Italia, avvenuta nel 1860, per l’Opificio iniziò un lungo periodo di difficoltà in seguito al passaggio dai decaduti Borboni allo Stato Italiano. Il punto di svolta negativo si ebbe dopo una relazione dell’ingegnere Grandis in cui evidenziava l’eccessivo costo della struttura e la sua lontananza da Napoli come elementi così limitanti tanto che consigliò di venderla ai privati e di liberarsene; nel 1870 fu venduta alla ditta Bozza che licenziò subito buona parte degli operai provocando, al contempo, delle forti tensioni tanto che l’ultima manifestazione finì nel sangue con l’uccisione di 7 operai e il ferimento di altri 20. Dopo tale episodio i Bozza recisero il contratto e l’Opificio passo alla Società Nazionale d’Industria Meccanica, ma, nonostante la produzione di nuove locomotive, non riuscì a risollevare la sorte di Pietrarsa così nel 1877 lo Stato avocò a se la gestione della Società. Lo Stato riuscì a risollevarla grazie alla nuova riorganizzazione e specializzazione degli operai e delle macchine che portò ad un nuovo ciclo produttivo in cui furono realizzate moltissime vetture per tutta l’Italia che durò fino al 1947, cioè fino a quando iniziò la diffusione delle locomotive a diesel e/o elettriche provocando l’inesorabile abbandono delle locomotive a vapore, usate per un breve periodo solo per il trasporto dei convogli merce per poi essere definitivamente abbandonate nel 1966. Dopo tale data lo stabilimento a Pietrarsa fu chiuso, nessun treno fu più né prodotto e né aggiustato all'ombra del Vesuvio ma fortunatamente decisero di trasformarlo in museo che dal 1989 ospita la storia ferroviaria italiana.
Alcuni modelli nell'ex padiglione montaggio. |
Lungo il suo percorso espositivo ci sono molte cose da ammirare ma, per non togliervi tutta la curiosità, vi evidenzio solo qualcosa; per prima cosa all'esterno del secondo piazzale si trova una delle originali pensiline in stile Liberty dei primi del Novecento che abbellivano le stazioni e vicino si può ammirare la grande statua di ghisa di Ferdinando II che fu fusa nel 1852 proprio nello stabilimento per celebrare l’ordine di fondazione dell’Opificio.
Entrando nel primo padiglione a sinistra, ex padiglione montaggio, si può ammirare la Bayard originale che ospitò Ferdinando II, famiglia e corte per il primo viaggio inaugurale. Lungo le pareti si possono ammirare le numerosissime locomotive a vapore prodotte dal 1837 al 1940; la prima locomotiva a vapore saturo la 875; quella a vapore surriscaldato la locomotiva 640, si arriva fino all'esperimento italiano applicato alla locomotiva 741 che consentiva di preriscaldare l’acqua della caldaia riutilizzando in modo economico i fumi di scarico, è il sistema Franco-Crosti. La 910 è il treno che poteva circolare in entrambi i sensi di marcia e faceva risparmiare un sacco di tempo. La 740.115 una delle macchine che trasportò il Milite Ignoto da Aquileia a Roma il 29 ottobre del 1921.
Particolari della Carrozza n 10; la centoporte; trasporto detenuti; Regie Poste |
Superando tutto il piazzale a destra si arriva al padiglione B e C, ex reparto caldaia e forni, che ospita varie carrozze e automotori e tra gli esemplari che risaltano agli occhi c’è la carrozza numero 10 del Treno Reale costruito dalla Fiat e donato nel 1929 a Umberto II di Savoia in occasione del suo matrimonio con Maria Josè del Belgio, che dal 1946 in poi divenne la carrozza presidenziale, fu donata al museo dal presidente Cossiga: il treno Reale in origine era composto da 11 vagoni e quello qui esposto è il vagone delle riunioni con il suo interno lussuoso composto da un tavolo di mogano da 26 posti, mobili in legno lavorato e il soffitto a intarsio con lamine d’oro su cui spiccano i medaglioni delle quattro repubbliche marinare. Sempre in questo padiglione sono conservate: la carrozza postale, quella per il trasporto detenuti e la famosa Centoporte per la 1 2 3 classe, le Littoria Fiat così chiamata perchè presero servizio negli anni Trenta in coincidenza con la nascita della città Littoria, oggi Latina, le Locomotive diesel 341/42 prodotte dal 1957-63 e costruite da Ansaldo- Breda, in ultimo i modelli dell’alta velocità.
Altare sopravvissuto |
In questo padiglione potete ammirare anche uno dei sopravvissuti tabernacoli dedicata alla Vergine. Essi furono concessi agli operai in seguito al necessario abbattimento della chiesa dedicata a Maria Ss. Immacolata per ampliare il complesso industriale, fu così permesso agli operai di costruirsi delle cappelle all'interno dei vari padiglioni e quella che oggi potete osservare è l’ultima sopravvissuta.
Nell'ultimo padiglione, invece, potete ammirare tutti i pezzi, gli strumenti, gli arredi dell’epoca che hanno composto, guidato, abbellito i vari treni e le stazioni ferroviarie.
Pensilina Liberty; Statua di Ferdinando II; alcuni arredi storici e una delle prime obliteratrici |
E con ciò vi auguro buona lettura, buona visita al museo e alla prossima storia.
Fonte sito Museo Pietrarsa.
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