Dopo aver descritto brevemente la storia di Spartaco e come funzionava un anfiteatro, è arrivato il momento di descrivere l’origine di questi giochi cruenti e il perché erano amati dai romani.
Origine ed evoluzione della gladiatura.
Molti studiosi legano l’origine della gladiatura al mondo etrusco e in particolar modo ai loro rituali funebri. Era consuetudine, infatti, in occasione della morte di un membro importante della comunità, un sacrificio umano la cui morte doveva avvenire solo attraverso il combattimento e, ovviamente, gli schiavi e i prigionieri di guerra erano quelli da sacrificare, questi venivano portati come dono commemorativo dai vari partecipanti al rito funebre e fatti combattere a coppia fino alla morte di entrambi poiché il loro sangue doveva essere versato sulla tomba del defunto affinché potesse placare l’ira degli dei e l’inquietudine del defunto.
Gli Etruschi diffusero tale pratica sacrificale in tutte le loro colonie comprese quelle campane, quindi anche nella Capua del IX a.C.
Invece i primi combattimenti gladiatori, cioè combattimenti che avvenivano con precise regole e armi, nacquero in Campania durante la guerra sannitica del 308 a.C.; i Campani odiavano tantissimo i Sanniti e decisero di armare i loro prigionieri di guerra (i primi gladiatori erano guerrieri catturati) facendoli combattere con le loro stesse armi al fine di celebrare sia le loro vittorie che per umiliarli. Ciò è confermato dal fatto che sanniti, sannites, erano i nomi dati ai primi gladiatori, in seguito arriverà il trace, il gallo, altri popoli assoggettati da Roma, e solo sotto il governo di Augusto furono ideati gli altri tipi di gladiatori come il murmillo ecc.
Si fa risalire al 264 a.C., invece, l’inizio dei combattimenti gladiatori a Roma. Secondo varie fonti storiche il primo combattimento avvenne durante i funerali di Giunio Bruto Pera poiché il nipote decise di far combattere in coppia gli schiavi “donati” dai vari illustri personaggi per commemorare lo zio.
Da questa macabra usanza nacquero gli spettacoli gladiatori i quali conservarono solo il nome originale -munera gladiatoria- e il rituale dell’offerta propiziatrice, munus, che vedeva nel sacrificio umano la sua massima espressione, ma con il tempo tale offerta fu trasformata in un “semplice” combattimento in cui non era obbligatorio uccidere il gladiatore. Tale cambiamento si legava all'importanza che questi spettacoli assunsero nel tempo nella politica romana, in poche parole, erano macchine per ingraziarsi la folla e per fare soldi, e, come per i moderni calciatori, il lanista non aveva nessuna intenzione di perdere la propria gallina dalle uova d’oro pertanto i combattimenti venivano organizzati secondo rigide regole per arginare il più possibile eventuali ferite mortali. Ciò non vuol dire che essi non morivano durante i combattimenti o per le ferite riportate ma era cosa abbastanza difficile da verificarsi, in più delle volte venivano ricuciti e rimessi nell'arena.
I combattimenti divennero, quindi, eccezionali strumenti persuasivi per i politici e gli imperatori, non mancarono, però, chi si opponeva ad essi cercando di abolirli come, ad esempio, Tiberio, ma non ci riuscì. Erano così amati dal popolo che i gladiatori divennero oggetto di un vero e proprio fanatismo tanto che le donne facevano di tutto pur di giacere con il loro idolo anche pagare ingenti somme al lanista, erano pur sempre schiavi, e dormire con loro su giacigli non proprio comodi e puliti. Un esempio è emerso proprio ad Ercolano, una matrona con il proprio gladiatore furono sorpresi dall'eruzione del 79. d.C.
Gli Etruschi diffusero tale pratica sacrificale in tutte le loro colonie comprese quelle campane, quindi anche nella Capua del IX a.C.
Invece i primi combattimenti gladiatori, cioè combattimenti che avvenivano con precise regole e armi, nacquero in Campania durante la guerra sannitica del 308 a.C.; i Campani odiavano tantissimo i Sanniti e decisero di armare i loro prigionieri di guerra (i primi gladiatori erano guerrieri catturati) facendoli combattere con le loro stesse armi al fine di celebrare sia le loro vittorie che per umiliarli. Ciò è confermato dal fatto che sanniti, sannites, erano i nomi dati ai primi gladiatori, in seguito arriverà il trace, il gallo, altri popoli assoggettati da Roma, e solo sotto il governo di Augusto furono ideati gli altri tipi di gladiatori come il murmillo ecc.
Si fa risalire al 264 a.C., invece, l’inizio dei combattimenti gladiatori a Roma. Secondo varie fonti storiche il primo combattimento avvenne durante i funerali di Giunio Bruto Pera poiché il nipote decise di far combattere in coppia gli schiavi “donati” dai vari illustri personaggi per commemorare lo zio.
Da questa macabra usanza nacquero gli spettacoli gladiatori i quali conservarono solo il nome originale -munera gladiatoria- e il rituale dell’offerta propiziatrice, munus, che vedeva nel sacrificio umano la sua massima espressione, ma con il tempo tale offerta fu trasformata in un “semplice” combattimento in cui non era obbligatorio uccidere il gladiatore. Tale cambiamento si legava all'importanza che questi spettacoli assunsero nel tempo nella politica romana, in poche parole, erano macchine per ingraziarsi la folla e per fare soldi, e, come per i moderni calciatori, il lanista non aveva nessuna intenzione di perdere la propria gallina dalle uova d’oro pertanto i combattimenti venivano organizzati secondo rigide regole per arginare il più possibile eventuali ferite mortali. Ciò non vuol dire che essi non morivano durante i combattimenti o per le ferite riportate ma era cosa abbastanza difficile da verificarsi, in più delle volte venivano ricuciti e rimessi nell'arena.
I combattimenti divennero, quindi, eccezionali strumenti persuasivi per i politici e gli imperatori, non mancarono, però, chi si opponeva ad essi cercando di abolirli come, ad esempio, Tiberio, ma non ci riuscì. Erano così amati dal popolo che i gladiatori divennero oggetto di un vero e proprio fanatismo tanto che le donne facevano di tutto pur di giacere con il loro idolo anche pagare ingenti somme al lanista, erano pur sempre schiavi, e dormire con loro su giacigli non proprio comodi e puliti. Un esempio è emerso proprio ad Ercolano, una matrona con il proprio gladiatore furono sorpresi dall'eruzione del 79. d.C.
Le armature.
Le tecniche gladiatorie, come gli armamenti, subirono nel tempo dei cambiamenti; in origine i gladiatori erano prevalentemente prigionieri di guerra che usavano le proprie armi e le proprie tattiche di combattimento per deliziare i vincitori, infatti, proprio dai nomi dei popoli vinti- i traci, galli e sanniti- nacquero le prime tipologie di guerrieri impersonati dai gladiatori quando scendevano nell'arena per commemorare le vittorie più importanti. Fu sotto Augusto però che cambiarono le tipologie gladiatorie con una maggiore differenziazione nell'armamentario e una riorganizzazione dei combattimenti secondo uno schema più rigido in cui si contrapponevano precise tipologie di gladiatori.
Ogni gladiatore aveva una base standard composta da un perizoma, subligaculum, e dalla cintura che lo reggeva, balteus, un elmo, galea, la protezione metallica per il braccio, manica, fissata alla spalla sinistra per proteggere il capo, galerus, uno schiniere di cuoio rinforzato con del metallo, detto ocrea, bende di cuoio e stoffa per proteggere gambe e braccia, dette fasciae.
A quest’armatura base si aggiungevano le diverse armi di difesa e offesa che caratterizzavano ogni gladiatore e dalle fonti storiche e artistiche sono stati riconosciuti ben 12 classi gladiatorie, le più famose sono: reziario protetto da rami difensive come il braccio sinistro fasciato, la manica, e il galerus, una placca metallica fissata alla spalla che copriva la gola, le sue armi di offesa erano un tridente e una rete da pescatore, voleva celebrare il dio Nettuno. Combatteva di solito contro il secutor, cioè inseguitore, provvisto di un grande scutum italico, un grande scudo rettangolare concavo, una corta spada, gladius da cui deriva il nome di questo genere di “gioco”, era protetto da una manica sul braccio destro, un parastinco metallico, ocrea, e un elmo privo di tesa per evitare che s’impigliasse nella rete, solitamente combatteva anche contro il murmillo, nome dal pesce murma, effigiato sull'elmo, era privo di schiniere, aveva gambe fasciate e si difendeva con lo scudo rettangolare. Il trace era munito di elmo dalla cresta a forma di grifone, una spada corta e ricurva, la sica, uno scudo piccolo e rettangolare, parmula, alti schinieri che proteggevano quasi totalmente le gambe fasciate fino alle cosce, la manica al braccio destro. Oplomaco, dal nome del grande scudo che lo proteggeva, indossava l’elmo ornato di piume con visiera, schiniere a protezione della gamba sinistra e armato di spada; provocator, difeso da elmo, indossava una corta corazza decorata al centro con una gorgone, uno schiniere sulla gamba sinistra, si difendeva/attaccava con uno scudo rettangolare e una spada; dimachaerus, combatteva con due coltelli; eques indossava una tunica, un elmo emisferico con tesa circolare, la manica, si fasciava le gambe fino alle caviglie, imbracciava uno scudo tondo e una lancia; sagittarius che colpiva gli avversari con le frecce; lo scaeva, ossia mancino, combatteva invertendo le armi, teneva lo scudo a destra e indossava lo schiniere a sinistra.
Ogni gladiatore aveva una base standard composta da un perizoma, subligaculum, e dalla cintura che lo reggeva, balteus, un elmo, galea, la protezione metallica per il braccio, manica, fissata alla spalla sinistra per proteggere il capo, galerus, uno schiniere di cuoio rinforzato con del metallo, detto ocrea, bende di cuoio e stoffa per proteggere gambe e braccia, dette fasciae.
A quest’armatura base si aggiungevano le diverse armi di difesa e offesa che caratterizzavano ogni gladiatore e dalle fonti storiche e artistiche sono stati riconosciuti ben 12 classi gladiatorie, le più famose sono: reziario protetto da rami difensive come il braccio sinistro fasciato, la manica, e il galerus, una placca metallica fissata alla spalla che copriva la gola, le sue armi di offesa erano un tridente e una rete da pescatore, voleva celebrare il dio Nettuno. Combatteva di solito contro il secutor, cioè inseguitore, provvisto di un grande scutum italico, un grande scudo rettangolare concavo, una corta spada, gladius da cui deriva il nome di questo genere di “gioco”, era protetto da una manica sul braccio destro, un parastinco metallico, ocrea, e un elmo privo di tesa per evitare che s’impigliasse nella rete, solitamente combatteva anche contro il murmillo, nome dal pesce murma, effigiato sull'elmo, era privo di schiniere, aveva gambe fasciate e si difendeva con lo scudo rettangolare. Il trace era munito di elmo dalla cresta a forma di grifone, una spada corta e ricurva, la sica, uno scudo piccolo e rettangolare, parmula, alti schinieri che proteggevano quasi totalmente le gambe fasciate fino alle cosce, la manica al braccio destro. Oplomaco, dal nome del grande scudo che lo proteggeva, indossava l’elmo ornato di piume con visiera, schiniere a protezione della gamba sinistra e armato di spada; provocator, difeso da elmo, indossava una corta corazza decorata al centro con una gorgone, uno schiniere sulla gamba sinistra, si difendeva/attaccava con uno scudo rettangolare e una spada; dimachaerus, combatteva con due coltelli; eques indossava una tunica, un elmo emisferico con tesa circolare, la manica, si fasciava le gambe fino alle caviglie, imbracciava uno scudo tondo e una lancia; sagittarius che colpiva gli avversari con le frecce; lo scaeva, ossia mancino, combatteva invertendo le armi, teneva lo scudo a destra e indossava lo schiniere a sinistra.
Gli spettacoli dei munera gladiatoria iniziavano con una grande parata dei gladiatori che arrivavano fino alla tribuna per salutare il Cesare; dopo il rituale controllo delle armi, iniziava il vero e proprio rituale del gioco con il riscaldamento dei gladiatori con armi di legno, poi il corteo con gli araldi che annunciavano le coppie, poi entravano gli harenarii per ricoprire l’arena di sabbia necessaria ad assorbire tutto il sangue.
Gli spettacoli iniziavano con i combattimenti tra belve esotiche o tra uomo e belve, ossia i venatores, e l’uomo incaricato di uccidere le belve vincitrici o che combatteva contro di loro veniva chiamato venatores ed era considerato molto meno di un gladiatore. Nonostante la loro poca considerazione, tali combattimenti ebbero vita lunga e furono proibiti solo nel VI d.C. con Totila.
Dopo l’intrattenimento con le belve iniziavano i veri e propri spettacoli gladiatori. Come su detto, ogni combattimento seguiva delle precise e rigide regole in cui il gladiatore sconfitto non veniva ucciso, usciva dall'arena malconcio e consapevole di aver perso il premio in denaro, ma, nonostante ciò, è forte nel nostro immaginario il famoso rito del pollice verso.Tale rito, ricostruito in epoca moderna, rende tragicamente romantico un combattimento particolarmente cruento e violento rispetto alla nostra cultura, e il fatto che il gladiatore vincitore, pur avendo la facoltà di concedere la grazia, lasciava la decisione all'imperatore che a sua volta la rimetteva al pubblico la quale decideva se il gladiatore era degno di sopravvivere, alzando il pugno, gridavano “mitte!”, se indegno, con il pollice verso, gridavano “jugula!”, egli così riceveva il colpo di grazia. Tutto ciò rende terribilmente teatrale il combattimento.
Ritornando alla dura, e non romantica, realtà, se il gladiatore moriva durante il combattimento veniva arpionato e fatto uscire dalla porta chiamata libitina da inservienti vestiti da Caronte, da Ade o da Marte psicopompo.
I vincitori ricevevano la palma d’oro e vassoi colmi di monete e doni preziosi.
E a fine di ogni giornata, veniva pubblicato fuori all'anfiteatro l’elenco dei partecipanti, dei vinti e dei vincitori.
Come detto più volte, i gladiatori erano principalmente schiavi, criminali condannati a morte e prigionieri di guerra ma non mancavano casi di giovani liberi che preferivano questa vita pur di ottenere fama, ricchezza e gloria nel più breve tempo possibile.
Per spiegare la passione che gli antichi romani avevano per questo tipo di spettacolo basta raccontare i fatti del 59 a.C. Tale anno è ricordato nella storia “sportiva” romana come l’anno dello scontro tra i tifosi nucerini, in trasferta a Pompei per assistere ai giochi gladiatori nell'anfiteatro pompeiano ( l'affresco è conservato al Museo Archeologico di Napoli) e i pompeiani. Lo scontro partì come un “semplice” sfotto tra le parti ma nel giro di poche ore le due tifoserie vennero alle mani, iniziarono a fioccare morti e feriti, soprattutto tra i nucerini, sia dentro sia fuori all'arena. Appena gli animi furono placati, il Senato decise di proibire, diremmo oggi di squalificare, per ben 10 anni l’anfiteatro pompeiano, proibì nella città vesuviana anche ogni forma di spettacolo pubblico e gladiatorio e ai nucerini fu imposto il divieto di trasferta, l’antico daspo. Il timore di non assistere più a tali giochi fu tale che spinse tutti i cittadini romani ad essere disciplinati e a non scontrasi più, non si avranno più episodi di tale gravità.
Gli spettacoli iniziavano con i combattimenti tra belve esotiche o tra uomo e belve, ossia i venatores, e l’uomo incaricato di uccidere le belve vincitrici o che combatteva contro di loro veniva chiamato venatores ed era considerato molto meno di un gladiatore. Nonostante la loro poca considerazione, tali combattimenti ebbero vita lunga e furono proibiti solo nel VI d.C. con Totila.
Dopo l’intrattenimento con le belve iniziavano i veri e propri spettacoli gladiatori. Come su detto, ogni combattimento seguiva delle precise e rigide regole in cui il gladiatore sconfitto non veniva ucciso, usciva dall'arena malconcio e consapevole di aver perso il premio in denaro, ma, nonostante ciò, è forte nel nostro immaginario il famoso rito del pollice verso.Tale rito, ricostruito in epoca moderna, rende tragicamente romantico un combattimento particolarmente cruento e violento rispetto alla nostra cultura, e il fatto che il gladiatore vincitore, pur avendo la facoltà di concedere la grazia, lasciava la decisione all'imperatore che a sua volta la rimetteva al pubblico la quale decideva se il gladiatore era degno di sopravvivere, alzando il pugno, gridavano “mitte!”, se indegno, con il pollice verso, gridavano “jugula!”, egli così riceveva il colpo di grazia. Tutto ciò rende terribilmente teatrale il combattimento.
Ritornando alla dura, e non romantica, realtà, se il gladiatore moriva durante il combattimento veniva arpionato e fatto uscire dalla porta chiamata libitina da inservienti vestiti da Caronte, da Ade o da Marte psicopompo.
I vincitori ricevevano la palma d’oro e vassoi colmi di monete e doni preziosi.
E a fine di ogni giornata, veniva pubblicato fuori all'anfiteatro l’elenco dei partecipanti, dei vinti e dei vincitori.
Come detto più volte, i gladiatori erano principalmente schiavi, criminali condannati a morte e prigionieri di guerra ma non mancavano casi di giovani liberi che preferivano questa vita pur di ottenere fama, ricchezza e gloria nel più breve tempo possibile.
Per spiegare la passione che gli antichi romani avevano per questo tipo di spettacolo basta raccontare i fatti del 59 a.C. Tale anno è ricordato nella storia “sportiva” romana come l’anno dello scontro tra i tifosi nucerini, in trasferta a Pompei per assistere ai giochi gladiatori nell'anfiteatro pompeiano ( l'affresco è conservato al Museo Archeologico di Napoli) e i pompeiani. Lo scontro partì come un “semplice” sfotto tra le parti ma nel giro di poche ore le due tifoserie vennero alle mani, iniziarono a fioccare morti e feriti, soprattutto tra i nucerini, sia dentro sia fuori all'arena. Appena gli animi furono placati, il Senato decise di proibire, diremmo oggi di squalificare, per ben 10 anni l’anfiteatro pompeiano, proibì nella città vesuviana anche ogni forma di spettacolo pubblico e gladiatorio e ai nucerini fu imposto il divieto di trasferta, l’antico daspo. Il timore di non assistere più a tali giochi fu tale che spinse tutti i cittadini romani ad essere disciplinati e a non scontrasi più, non si avranno più episodi di tale gravità.
Il perché i romani amavano questo tipo di spettacolo è da leggere, secondo gli studiosi, nella partecipazione collettiva di tutta la società romana a questi giochi in cui si rappresentavano, con tanto di sconfitta, i nemici di Roma e della società romana, basti ricordare che i gladiatori erano prigionieri di guerra e assassini, quindi persone che avevano messo in pericolo la società o le regole sociali. La partecipazione collettiva rinsaldava, nonostante le differenze sociali, la comunità su quei valori comuni e condivisi, basti ricordare anche la morte dei cristiani nel Colosseo. In poche parole questi spettacoli permettevano una catarsi pubblica e una liberazione dalle paure attraverso la morte/sconfitta del nemico che, contemporaneamente, diventava un monito per chi volesse mettere in discussione o in pericolo tale ordine.
Ciò spiega il perché tali giochi sopravvissero ai vari divieti, alla caduta dell’Impero, ai vari editti di Costantino,alla dura proibizione ad opera di Onorio nel 403 d.C., bisogna attendere la salita al trono di Valentiniano III nel 438 d. C. riuscì a scrivere la parola fine su questo tipo di spettacolo.
Dopo Valentiniano III non ci saranno più né gladiatori né combattimenti, bisogna aspettare Hollywood per riscoprire l’affascinante figura del gladiatore e soprattutto il personaggio Spartaco. Personalmente, più che dai film e serie tv, anche se in quest’ultimo caso mi sono appassionata tantissimo, sono stata affascinata dalla figura di Valerio descritto nei libri di Gordon Russell, ben due libri – Il grande gladiatore e La notte del gladiatore- in cui sono descritte benissimo tutte le tecniche di combattimento e di allenamento a cui si sottoponevano i gladiatori, sembra quasi di trovarsi lì tra le fredde mura delle loro scuole, da leggere.
Ciò spiega il perché tali giochi sopravvissero ai vari divieti, alla caduta dell’Impero, ai vari editti di Costantino,alla dura proibizione ad opera di Onorio nel 403 d.C., bisogna attendere la salita al trono di Valentiniano III nel 438 d. C. riuscì a scrivere la parola fine su questo tipo di spettacolo.
Dopo Valentiniano III non ci saranno più né gladiatori né combattimenti, bisogna aspettare Hollywood per riscoprire l’affascinante figura del gladiatore e soprattutto il personaggio Spartaco. Personalmente, più che dai film e serie tv, anche se in quest’ultimo caso mi sono appassionata tantissimo, sono stata affascinata dalla figura di Valerio descritto nei libri di Gordon Russell, ben due libri – Il grande gladiatore e La notte del gladiatore- in cui sono descritte benissimo tutte le tecniche di combattimento e di allenamento a cui si sottoponevano i gladiatori, sembra quasi di trovarsi lì tra le fredde mura delle loro scuole, da leggere.
Particolari interni. |
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