Il sole in tavola
Questa e la seconda ricetta che propongo per il contest Terra di fuoco, non è una ricetta legata alla tradizione, ma ha un ingrediente tipico della Campania, il pomodoro S. Marzano. E’ un’insolita insalata di pasta, molto saporita e fresca anche se è un po’ “sudata” nella prima fase di preparazione, ma, personalmente, è tutto a favore del gusto.
Ingredienti per 4 persone
1 kg peperoni rossi e gialli
1 kg di pomodori S. Marzano
1 spicchio d’aglio
½ peperoncino piccante
250 gr olio evo
250 gr olive miste condite "passolone"
Sale q.b.
Origano q.b.
Prezzemolo e basilico q.b.
Succo di ½ limone
300 gr pasta formato Fusilli
Procedimento
Si articola in due fasi.
Il giorno prima, arrostire su una piastra di ghisa sia i peperoni che i pomodori S. Marzano i quali devono essere grandi, rossi e maturi, ma non “molli” altrimenti durante la cottura si rompono troppo. Una volta arrostiti, mettere in due diversi contenitori, ben chiusi, i peperoni e i pomodori; farli raffreddare e spellarli.
Metterli a colare, tenendoli sempre separati, per tutta la notte in frigo, così si toglie tutta quell’acquetta che li rende pesanti.
Prenderli dal frigo, sfilettare sia i peperoni che i pomodori con le mani. Metterli in un’insalatiera e iniziare a condirli con: uno spicchio di aglio, un mezzo peperoncino piccante, io ci tolgo i semi per evitare che risulti po’ troppo piccante perché anche le olive condite lo sono. Aggiungere l’olio e le olive condite, snocciolate e tagliate a pezzi. In ultimo, aggiungere origano, sale, prezzemolo e basilico spezzettati quanto bastano per dare sapore e un profumo mediterraneo.
Lasciare insaporire il tutto per almeno 2 ore in frigo, girando ogni tanto, poi, una mezzora prima di cuocere la pasta, togliere il mezzo peperoncino e aggiungere il succo di mezzo limone. Lasciare riposare un po’ e assaggiare per capire se va aggiunta qualche spezia.
Una volta cotta al dente la pasta, condirla con i peperoni e pomodori, se dovesse risultare troppo “asciutta” aggiungere un po’ di olio evo; lasciarla riposare giusto il tempo di farla raffreddare e….buon appetito
Adesso un po’ di storia
Tu vuò far l’americano, ma sì ormai napulitan!
Come spesso succede molti prodotti tipici di una zona, in questo caso della Campania, sono nati altrove ma hanno trovato, nel loro lungo pellegrinare nella storia, nuove terre in cui crescere tanto da dimenticarsi della loro origine. Ciò è avvenuto per il pomodoro che ha trovato una calorosa accoglienza nelle fertili e assolate terre napoletane diventando il re dei condimenti per alcuni dei piatti più buoni e tipici della cucina partenopea, quali, per citarne i due più famosi, la pizza margherita, il mitico ragù. Non va dimenticato che il pomodoro è il protagonista anche delle calde serate estive, infatti, viene preparato all’insalata, cioè tagliato a pezzetti con olio, origano, cipolla, sedano e basilico, per condire una fresca fresella. Il pomodoro, come scherzosamente accennato, nasce nell’America Centrale e giunge in Europa, attraverso la Spagna, durante il Seicento quando cominciarono ad essere più “frequenti” i viaggi tra i due continenti.
Inizialmente, tale pianta fu usata come ornamento, infatti, bisogna aspettare il XVIII secolo, e la sua diffusione nelle calde e assolate terre del Mediterraneo, per trovare le prime “testimonianze” di un suo utilizzo come alimento. Il perché ci sono voluti quasi due secoli per registrare il passaggio dall’uso ornamentale all’uso culinario, ciò è dovuto alle leggende “nere”, tramandate dai soldati di Fransisco Pizarro, legate al suo utilizzo in America. Infatti, gli Aztechi cucinavano un piatto rituale preparato con spezzatino di carne umana, pomodoro, pepe e gigli triturati, ovviamente, tale piatto terrorizzò, e non poco, gli astanti.
Così i frutti del solanum lycopersicum suscitavano negli europei sentimenti contrastanti, infatti, c’era chi ammirava la bellezza della pianta, chi, invece, la condannava per il suo “potere” malefico e velenoso, accentuato anche dal colore rosso sangue dei suoi frutti.
Bisogna aspettare prima che si perdessero nella storia le terribili leggende ad esso legati per vederlo in cucina, secondo una tradizione orale, il primo seme di pomodoro giunse in Campania nel 1770 come dono del Regno del Perù al Regno di Napoli; trovò nel napoletano il suo ambiente ideale e si adattò così bene che i contadini non trovarono difficoltà a selezionare i semi migliori e a produrlo ogni estate. Grazie a questo sapiente lavoro di selezione che oggi alcune varietà campane tra le più rinomate, quali la varietà del Vesuvio e la S. Marzano D.O.P.
Quest’ultima varietà si produce prevalentemente nell’agro sarnese-nocerino, il nome deriva da un piccolo comune San Marzano cuore di quest’agro la cui economia ruota intorno a tale pepita rossa. Ha una forma allungata, è usato prevalentemente per le conserve di pomodoro, sia passate che “pelate”, ma la zona di produzione si estende anche nel territorio vesuviano, grazie al forte sole estivo e alla ricca e fertile terra.
Altra varietà D.O.P è il pomodoro del Vesuvio. E’ prodotto unicamente alle pendici del Vesuvio e del Monte Somma, terra decisamente vulcanica, che, sapientemente raccolto, viene messo nella famosa forma a “piennolo” (pendolo) e diventa, così, riserva preziosa che, messo ad asciugare, viene usato per preparare durante tutto l’inverno squisiti piatti a base di pesce, in particolar modo per le cene delle vigilie di Natale e di Pasqua, ma qua entriamo in un’altra storia, quindi….buona lettura e buone vacanze.
Inizialmente, tale pianta fu usata come ornamento, infatti, bisogna aspettare il XVIII secolo, e la sua diffusione nelle calde e assolate terre del Mediterraneo, per trovare le prime “testimonianze” di un suo utilizzo come alimento. Il perché ci sono voluti quasi due secoli per registrare il passaggio dall’uso ornamentale all’uso culinario, ciò è dovuto alle leggende “nere”, tramandate dai soldati di Fransisco Pizarro, legate al suo utilizzo in America. Infatti, gli Aztechi cucinavano un piatto rituale preparato con spezzatino di carne umana, pomodoro, pepe e gigli triturati, ovviamente, tale piatto terrorizzò, e non poco, gli astanti.
Così i frutti del solanum lycopersicum suscitavano negli europei sentimenti contrastanti, infatti, c’era chi ammirava la bellezza della pianta, chi, invece, la condannava per il suo “potere” malefico e velenoso, accentuato anche dal colore rosso sangue dei suoi frutti.
Bisogna aspettare prima che si perdessero nella storia le terribili leggende ad esso legati per vederlo in cucina, secondo una tradizione orale, il primo seme di pomodoro giunse in Campania nel 1770 come dono del Regno del Perù al Regno di Napoli; trovò nel napoletano il suo ambiente ideale e si adattò così bene che i contadini non trovarono difficoltà a selezionare i semi migliori e a produrlo ogni estate. Grazie a questo sapiente lavoro di selezione che oggi alcune varietà campane tra le più rinomate, quali la varietà del Vesuvio e la S. Marzano D.O.P.
Quest’ultima varietà si produce prevalentemente nell’agro sarnese-nocerino, il nome deriva da un piccolo comune San Marzano cuore di quest’agro la cui economia ruota intorno a tale pepita rossa. Ha una forma allungata, è usato prevalentemente per le conserve di pomodoro, sia passate che “pelate”, ma la zona di produzione si estende anche nel territorio vesuviano, grazie al forte sole estivo e alla ricca e fertile terra.
Altra varietà D.O.P è il pomodoro del Vesuvio. E’ prodotto unicamente alle pendici del Vesuvio e del Monte Somma, terra decisamente vulcanica, che, sapientemente raccolto, viene messo nella famosa forma a “piennolo” (pendolo) e diventa, così, riserva preziosa che, messo ad asciugare, viene usato per preparare durante tutto l’inverno squisiti piatti a base di pesce, in particolar modo per le cene delle vigilie di Natale e di Pasqua, ma qua entriamo in un’altra storia, quindi….buona lettura e buone vacanze.
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