Il lato alchemico di villa Caramanico, oggi villa Vannucchi
Dopo aver descritto brevemente le caratteristiche del giardino religioso ora veniamo a quello alchemico.Durante la ricerca su villa Vannucchi mi sono imbattuta su un’ interessante interpretazione storica del suo guardino e non potevo non riportarla, in essa si mette in correlazione le figure geometriche dei suoi viali e delle fontane con i segni di una filosofia alchemica e di una visione massonica del suo primo proprietario, la famiglia Caramanico.
Tale interpretazione storica è opinabile ma non per questo non deve essere accennata, poi sarà il lettore a trarne le conclusioni. Personalmente tale lettura storica non mi sconvolge perché sia l’alchimia che la massoneria hanno avuto un indubbio ruolo nella storia sia napoletana che nazionale, ma cosa sia diventata oggi la massoneria non importa perché non è oggetto di questo racconto.
L’alchimia, così come il giardino alchemico, a Napoli era di casa, infatti, diede i natali e ospitò molti illustri alchemici e massoni, il più famoso tra questi è, senza dubbio, Raimondo di Sangro, VII principe di San Severo. Tra i suoi molteplici studi ed esperimenti, giusto per citarne alcuni, troviamo il miglioramento chimico della porcellana che contribuì al perfezionamento della sua produzione (la ceramica di Capodimonte ne è un esempio) e inventò il Giallo Napoli o Giallolino, sostanza artificiale usata per colorare piastrelle o riggiole, marmi artificiali, ecc.
Importante dire che la massoneria partenopea settecentesca sosteneva l’idea di ricreare un nuovo ordine sociale senza né assolutismo, né dispotismo, pertanto non era ben vista da una fetta dell’alta società religiosa né dallo stesso re Carlo III di Borbone che, nonostante la sua politica illuminista temeva una sovversione dell’ordine sociale costituito.
Ovviamente tra alchimia, con la sua complessa filosofia, e la massoneria si instaurò un intenso legame che continuò nel tempo ed ebbe molti illustri rappresentanti tra le più importanti famiglie nobili napoletane. Come ogni giardino che si rispetti anche quello alchemico, tra il Seicento e il Settecento, ebbe illustri trattatisti e il suo più importante teorizzatore fu il marchese Palombara, alchimista e Rosacroce, vissuto nella Roma del 600.
Cosmologia alchemico-rosacrociana in Museum Hermeticum, Francoforte, 1677* La rosa da il miele alle api, allegoria ripresa nel giardino dei Caramanico. |
In questi giardini si usava molto l'allegoria mitologica per comunicare complessi messaggi che potevano essere sinteticamente espressi attraverso delle statue o degli affreschi, messaggi compresi, però, solo da chi condivideva la stessa cultura mentre erano incomprensibili a chi non fosse “degno”.
Inoltre, s’ispirò molto al giardino sacro ma ne mutò i significati dei vari elementi che lo componevano perché erano diverse le visioni del mondo. Gli elementi comuni erano: la concezione come luogo di meditazione, la delimitazione da alte mura che dovevano nasconderlo da occhi indiscreti, in questo caso da chi non fosse “illuminato”; l’acqua era centrale perché simbolo della vita, affiancata dall'albero della “vita”, vale a dire quercia, agrifoglio o un pioppo, entrambi questi elementi fungevano da centro mistico e servivano a raggiungere il sacro silenzio.
Dal centro veniva tracciata una croce greca inscritta in cerchi: geometrie, alberi e fiori erano scelti e posizionati secondo simbologie ben precise tratte dalle tavole alchemiche, cabalistiche, da mappe astronomiche, astrologiche, da simbologie ermetiche mentre i profumi dovevano aiutare nella meditazione e per cercare la perfetta armonia intellettiva e fisica con la natura attraverso vari percorsi mistico-filosofici tracciati in modo simbolico nel giardino.
Ciò mostra come nell'alchimia c’era un pensiero filosofico che cercava di capire le leggi dell’universo e non solo la ricerca della trasmutazione di metalli vili in oro. L’etichetta di disciplina cialtrona le fu data durante l’età dei Lumi quando mutò lo studio dei diversi saperi, ciò relegò l’alchimia in un angolino, ma dai suoi esperimenti visionari nascerà la moderna chimica e la farmacologia.
Inoltre, s’ispirò molto al giardino sacro ma ne mutò i significati dei vari elementi che lo componevano perché erano diverse le visioni del mondo. Gli elementi comuni erano: la concezione come luogo di meditazione, la delimitazione da alte mura che dovevano nasconderlo da occhi indiscreti, in questo caso da chi non fosse “illuminato”; l’acqua era centrale perché simbolo della vita, affiancata dall'albero della “vita”, vale a dire quercia, agrifoglio o un pioppo, entrambi questi elementi fungevano da centro mistico e servivano a raggiungere il sacro silenzio.
Dal centro veniva tracciata una croce greca inscritta in cerchi: geometrie, alberi e fiori erano scelti e posizionati secondo simbologie ben precise tratte dalle tavole alchemiche, cabalistiche, da mappe astronomiche, astrologiche, da simbologie ermetiche mentre i profumi dovevano aiutare nella meditazione e per cercare la perfetta armonia intellettiva e fisica con la natura attraverso vari percorsi mistico-filosofici tracciati in modo simbolico nel giardino.
Ciò mostra come nell'alchimia c’era un pensiero filosofico che cercava di capire le leggi dell’universo e non solo la ricerca della trasmutazione di metalli vili in oro. L’etichetta di disciplina cialtrona le fu data durante l’età dei Lumi quando mutò lo studio dei diversi saperi, ciò relegò l’alchimia in un angolino, ma dai suoi esperimenti visionari nascerà la moderna chimica e la farmacologia.
Il giardino dei Caramanico.
Quanto detto fin’ora lo ritroviamo nel parco di villa Vannucchi considerato un interessante esempio di giardino alchemico-massonico (per evitare confusione chiamerò tale giardino con il nome della prima famiglia che lo realizzò, appunto i Caramanico, poiché gli ultimi proprietari, i Vannucchi, in questa parte della storia poco centrano).
La famiglia d’Aquino di Caramanico, una delle famiglie più illustri e potenti del regno, originariamente possedevano una seconda residenza costruita da Francesco Caramanico a Portici, ma furono costretti a lasciarla perché fu inglobata nel poderoso progetto della Reggia di Portici, così, per non allontanarsi dal Re Carlo III, il figlio Giacomo decise di costruire la nuova villa di famiglia in San Giorgio a Cremano. Il Re, per appianare ogni eventuale dissapore, decise di risarcire i Caramanico regalando un bellissimo albero di canforo da impiantare nella loro nuova residenza. Tale maestoso albero, raro ed esotico nel Settecento per le sue proprietà mediche e per la sua odorosa canfora, era un dono veramente prezioso tanto che i Caramanico decisero di piantarlo in un lato del giardino ben visibile dalla strada proprio per mostrare a tutti i nobili il loro buon rapporto con la famiglia regnate nonostante il trasloco forzato; il canforo è tutt'oggi visibile.
Molti membri della famiglia Caramanico erano importanti massoni, infatti, nel 1773 Francesco Venanzio d’Aquino fondò una nuova loggia chiamata “Lo Zelo” e contemporaneamente ricoprì importanti incarichi politici per volere di re Carlo III di Borbone.
Accanto al ruolo politico, Francesco ricoprì anche un importante ruolo come mecenate sostenendo molti artisti, filosofi, studiosi di diritto, scienziati, ospitati nelle sue diverse residenze, contribuì molto alla diffusione della cultura illuminata del Regno.
La famiglia d’Aquino di Caramanico, una delle famiglie più illustri e potenti del regno, originariamente possedevano una seconda residenza costruita da Francesco Caramanico a Portici, ma furono costretti a lasciarla perché fu inglobata nel poderoso progetto della Reggia di Portici, così, per non allontanarsi dal Re Carlo III, il figlio Giacomo decise di costruire la nuova villa di famiglia in San Giorgio a Cremano. Il Re, per appianare ogni eventuale dissapore, decise di risarcire i Caramanico regalando un bellissimo albero di canforo da impiantare nella loro nuova residenza. Tale maestoso albero, raro ed esotico nel Settecento per le sue proprietà mediche e per la sua odorosa canfora, era un dono veramente prezioso tanto che i Caramanico decisero di piantarlo in un lato del giardino ben visibile dalla strada proprio per mostrare a tutti i nobili il loro buon rapporto con la famiglia regnate nonostante il trasloco forzato; il canforo è tutt'oggi visibile.
Molti membri della famiglia Caramanico erano importanti massoni, infatti, nel 1773 Francesco Venanzio d’Aquino fondò una nuova loggia chiamata “Lo Zelo” e contemporaneamente ricoprì importanti incarichi politici per volere di re Carlo III di Borbone.
Accanto al ruolo politico, Francesco ricoprì anche un importante ruolo come mecenate sostenendo molti artisti, filosofi, studiosi di diritto, scienziati, ospitati nelle sue diverse residenze, contribuì molto alla diffusione della cultura illuminata del Regno.
I segni alchemici nascosti in un bellissimo giardino.
La consuetudine imponeva a chi fosse massone di mostrare la sua affiliazione disseminando le sue residenze di simboli riconoscibili solo ai membri, mentre per gli “altri” dovevano sembrare segni belli e nulla di più, così anche i Caramanico disseminarono di “segni” la loro villa sangiorgese che secondo F.Barbera, grazie al restauro, sono ritornati visibili nel bel motivo ornamentale centrale del giardino. Probabilmente alcuni "segni" erano presenti anche nella dimora ma in seguito vari rifacimenti e restauri sono andati perduti.
Secondo lo studioso, tali segni trarrebbero origine da due disegni ideati dal filosofo e mistico Robert Fludd,ossia il sole, che nella sua filosofia rappresentava il principio della creazione, e il mistico rosa-croce, quindi, secondo tale tesi, dalla loro sovrapposizione si forma la rosa a otto petali visibile intorno all'esedra centrale. Da questo complesso disegno partono o meglio s’irradiano i raggi/viali, tra i quali spicca per grandezza quello principale che, quasi come uno stelo, collega l’esedra/rosa alla villa.
Secondo lo studioso, tali segni trarrebbero origine da due disegni ideati dal filosofo e mistico Robert Fludd,ossia il sole, che nella sua filosofia rappresentava il principio della creazione, e il mistico rosa-croce, quindi, secondo tale tesi, dalla loro sovrapposizione si forma la rosa a otto petali visibile intorno all'esedra centrale. Da questo complesso disegno partono o meglio s’irradiano i raggi/viali, tra i quali spicca per grandezza quello principale che, quasi come uno stelo, collega l’esedra/rosa alla villa.
Concludendo, i giardini alchemici settecenteschi partenopei si presentavano come dei complessi cifrari polisemici compresi solo dai membri che li sapevano leggere nelle allegorie, nella metafora e nelle figure retoriche molto presenti nella cultura napoletana sin dal Seicento- un illustre rappresentante di tale cultura è Gian Battista Marino che nel suo Adone elogia la Rosa la paragonandola al sole. Inoltre, logge e terrazzi servivano a far comprendere meglio i segni nascosti, oltre che ammirare la bellezza del giardino e del panorama. Non tutti i giardini e le ville vesuviane furono abitate da massoni, molti esempi sono “solo” dei “semplici” giardini di delizie in bellissime seconde residenze.
Con il passare del tempo e con i normali cambiamenti sociali, politici e culturali anche la massoneria cambiò ruolo e posizione ma ci addentriamo in un altro capitolo della storia che non sarà oggetto di narrazione. E con ciò chiudo la lunga storia sulla villa Caramanico-Vannucchi. A presto per un nuovo capitolo.
Con il passare del tempo e con i normali cambiamenti sociali, politici e culturali anche la massoneria cambiò ruolo e posizione ma ci addentriamo in un altro capitolo della storia che non sarà oggetto di narrazione. E con ciò chiudo la lunga storia sulla villa Caramanico-Vannucchi. A presto per un nuovo capitolo.
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