Le ville vesuviane sono famose per il loro inconfondibile stile architettonico che le rende uniche nel panorama nazionale, sicuramente i loro giardini avevano un ruolo importante nello stupire gli illustri ospiti. Andiamo a scoprire uno di quei pochi giardini giunti fino a noi, il giardino della villa vesuviana degli Aquini principi di Caramanico a San Giorgio a Cremano
Alla decadenza della classe nobiliare si affiancarono i danni provocati dalle due guerre, dal boom edilizio e tanti altri complessi fenomeni i quali determinarono una riduzione drastica dei giardini, e più in generale, delle aree verdi. Fortunatamente alcuni tra gli esempi più interessanti sono sopravvissuti come: il parco della Reggia di Portici, quella di Campolieto, della Favorita, quello di villa Bruno e di Villa Vannucchi, queste ultime due si trovano a San Giorgio a Cremano. Per correttezza va detto che ci sono anche altri giardini ma essendo privati non sono visitabili.
Tra i giardini appena accennati, ho scelto quello di Villa Vannucchi, perché, in seguito al restauro del suo giardino è stata avanzata un'interessante tesi che interpreta i suoi viali, le fontane, non più zampillanti, in chiave alchemica e massonica.
Questo giardino, inoltre, permette di spiegare il ruolo dell'area verde nella progettazione della villa e nella idea di meravigliare, deliziare, gli ospiti facoltosi.
La storia della villa di delizie degli Aquini principi di Caramanico e il loro giardino
I giardini delle ville vesuviane non sono tutti giunti a noi e la perdita di quest’affascinante forma d’arte è dovuta a diverse cause una di queste è legata alla struttura stessa della villa poiché tra il parco/giardino e la vera e propria zona agricola passava una stradina usata per agevolare il transito delle carrozze o della servitù, tale separazione, con il passare del tempo, determinò diversi destini per la residenza e per i terreni che furono presentemente modificati in seguito alla fine dei privilegi feudali e nobiliari, ciò determinò la fine di una rendita e la ricerca di entrate economiche alternative, così molti proprietari decisero di parcellizzare buona parte del loro terreno affidandoli ai coloni mentre le ville vesuviane furono divise in appartamenti e affittati.Alla decadenza della classe nobiliare si affiancarono i danni provocati dalle due guerre, dal boom edilizio e tanti altri complessi fenomeni i quali determinarono una riduzione drastica dei giardini, e più in generale, delle aree verdi. Fortunatamente alcuni tra gli esempi più interessanti sono sopravvissuti come: il parco della Reggia di Portici, quella di Campolieto, della Favorita, quello di villa Bruno e di Villa Vannucchi, queste ultime due si trovano a San Giorgio a Cremano. Per correttezza va detto che ci sono anche altri giardini ma essendo privati non sono visitabili.
Tra i giardini appena accennati, ho scelto quello di Villa Vannucchi, perché, in seguito al restauro del suo giardino è stata avanzata un'interessante tesi che interpreta i suoi viali, le fontane, non più zampillanti, in chiave alchemica e massonica.
Questo giardino, inoltre, permette di spiegare il ruolo dell'area verde nella progettazione della villa e nella idea di meravigliare, deliziare, gli ospiti facoltosi.
Villa Caramanico, da azienda agricola a villa di delizia.
Stralcio della pianta del Duca di Noja; A via Tiglio/Roma; B villa e giardino del principe Caramanico. |
La villa si affaccia su una delle strade più importanti di San Giorgio a Cremano indicata nelle antiche piante topografiche come via del Tiglio o Tigli, grazie a un grosso albero di tiglio situato lungo il tragitto, oggi il nome della strada è via Roma.
E’ una tra le ville più grandi dell’area vesuviana e il suo parco si estende per 43.600 mq ed è secondo solo a quello della Reggia di Portici.
Tale residenza nacque come azienda agricola della famiglia Tarallo, una delle famiglie più antiche di San Giorgio a Cremano ma nel 1755 fu acquistata da Giacomo d’Aquino Principe di Caramanico, una delle famiglie più antiche del regno di Napoli, che la trasformò radicalmente tanto che il Duca di Noja, nella sua celeberrima mappa- preziosa testimonianza topografica- la indicò come “Villa di delizie degli Aquini detti Caramanica”.
Una curiosità, quando nel 1775 il Duca di Noja elaborò la su citata pianta topografica, la villa non era ancora ultimata e il cartografo, su richiesta del principe Caramanico, ricopiò il progetto della villa e non riportò, invece, l’effettivo stato dei lavori della residenza e tale richiesta è risultata oggi utile e prezioso strumento per restaurare il suo giardino che dopo anni di abbandono si presenta al visitatore così come doveva presentaris, più o meno, nel XVIII secolo.
Il nuovo progetto di ristrutturazione fu affidato all'architetto Antonio Donnamaria, allievo del Vaccaro, il quale fu bruscamente licenziato nel 1758 perché incapace di gestire i costi dei lavori, subentrò l’architetto Antonio Schioppa che ultimò i lavori nel 1759.
E’ una tra le ville più grandi dell’area vesuviana e il suo parco si estende per 43.600 mq ed è secondo solo a quello della Reggia di Portici.
Tale residenza nacque come azienda agricola della famiglia Tarallo, una delle famiglie più antiche di San Giorgio a Cremano ma nel 1755 fu acquistata da Giacomo d’Aquino Principe di Caramanico, una delle famiglie più antiche del regno di Napoli, che la trasformò radicalmente tanto che il Duca di Noja, nella sua celeberrima mappa- preziosa testimonianza topografica- la indicò come “Villa di delizie degli Aquini detti Caramanica”.
Una curiosità, quando nel 1775 il Duca di Noja elaborò la su citata pianta topografica, la villa non era ancora ultimata e il cartografo, su richiesta del principe Caramanico, ricopiò il progetto della villa e non riportò, invece, l’effettivo stato dei lavori della residenza e tale richiesta è risultata oggi utile e prezioso strumento per restaurare il suo giardino che dopo anni di abbandono si presenta al visitatore così come doveva presentaris, più o meno, nel XVIII secolo.
Il nuovo progetto di ristrutturazione fu affidato all'architetto Antonio Donnamaria, allievo del Vaccaro, il quale fu bruscamente licenziato nel 1758 perché incapace di gestire i costi dei lavori, subentrò l’architetto Antonio Schioppa che ultimò i lavori nel 1759.
Nel 1756 iniziarono i lavori di sistemazione del parco/giardino con la costruzione dell’esedra semicircolare con relativa fontana centrale, furono realizzati le basse ali al piano terra, le scuderie e la cappella. Quest’ultima fu ultimata nel 1762 e dedicata all'Immacolata. L’ambiente interno è tipico di una cappella privata; fonti storiche ci informano che alle spalle dell’altare e sul contro-altare c’erano due tele raffiguranti “L’Immacolata” e “ La Pietà” realizzate dal pittore napoletano Giovan Battista Rossi che, fortunatamente, sono conservate al museo di Capodimonte. Meno fortunati furono i marmi e tutti gli arredi interni della piccola cappella “misteriosamente” scomparsi.
Da un punto di vista architettonico, la villa ha tre piani con una facciata esterna tipica di un palazzo di città, quella interna, invece, è più movimentata ed aperta da due loggioni e altrettanti ampi terrazzi che permettevano di ammirare sia il giardino sia il panorama mozzafiato.
Sul finire del Settecento, la villa fu oggetto di un profondo restauro durante il quale le fu dato l’attuale aspetto neoclassico, non previsto dal progetto di Donnamaria, scelta influenzata, invece, dalle coeve scoperte di Ercolano e Pompei.
Durante il decennio francese succeduto alla Repubblica Napoletana del 1799, nonostante l’abolizione di molti privilegi feudali, la villa Caramanico visse il suo momento di massimo splendore grazie al matrimonio tra Tommaso d’Aquino con Teresa Lembo nipote di Gioacchino Murat e la relativa iscrizione della famiglia nel Libro d’Oro napoletano con il titolo di patrizio napoletano. Dilapidarono tutti i loro beni e le loro rendite in sfarzo, lusso, gioco.
Una volta dissipato tutto, nel 1851, l’ultima erede dei Caramanico, Marianna, la figlia di Tommaso, vendette la villa al conte Lorenzo Van den Heuvel. Egli, non possedendo più ingenti rendite, decise di sfruttare a pieno la proprietà; iniziò a parcellizzare gli ambienti interni, creando degli appartamenti da affittare, trasformò, inoltre, il parco in un fondo rustico per renderlo coltivabile. Nel 1894 muore Van den Heuvel senza eredi e la madre, la contessa Anna de Jorio, nel 1912, la vendette al conte Vannucchi il quale la trovò in condizione di semi-abbandono. Egli decise di restaurarla così come fecero i suoi discendenti Giuseppe Vannucchi, rivalorizzò il parco e Carlo, insigne musicista, la trasformò in un vero e proprio centro musicale e culturale.
Nel 1939 la villa venne sottoposta a vincolo ma non la salvò dalla distruzione della Seconda Guerra Mondiale, in aggiunta il Vesuvio eruttò.
Fu solo l’inizio del declino, continuò a perdere pezzi e il terribile terremoto 1980 assestò l’ultimo duro colpo alla struttura già fatiscente (per vedere com'era basta vedere il grande Troisi). Fortunatamente, nel 1984 la villa venne comprata dal comune di San Giorgio Cremano dall'ultimo erede dei Vannucchi.
Nel 1998 iniziarono i lavori di restauro terminati nel 2009 con il completamento del parco restaurato secondo il progetto originario voluto da Giacomo d'Aquino principe di Caramanico. Grazie ai restauri, e nonostante la perdita di stucchi, pavimenti e affreschi, si può ammirare una grandiosa villa luogo di diletto e di ozio e un imponente giardino con alberi e fiori che piano piano stanno diffondendo il loro profumo.
Durante il decennio francese succeduto alla Repubblica Napoletana del 1799, nonostante l’abolizione di molti privilegi feudali, la villa Caramanico visse il suo momento di massimo splendore grazie al matrimonio tra Tommaso d’Aquino con Teresa Lembo nipote di Gioacchino Murat e la relativa iscrizione della famiglia nel Libro d’Oro napoletano con il titolo di patrizio napoletano. Dilapidarono tutti i loro beni e le loro rendite in sfarzo, lusso, gioco.
Una volta dissipato tutto, nel 1851, l’ultima erede dei Caramanico, Marianna, la figlia di Tommaso, vendette la villa al conte Lorenzo Van den Heuvel. Egli, non possedendo più ingenti rendite, decise di sfruttare a pieno la proprietà; iniziò a parcellizzare gli ambienti interni, creando degli appartamenti da affittare, trasformò, inoltre, il parco in un fondo rustico per renderlo coltivabile. Nel 1894 muore Van den Heuvel senza eredi e la madre, la contessa Anna de Jorio, nel 1912, la vendette al conte Vannucchi il quale la trovò in condizione di semi-abbandono. Egli decise di restaurarla così come fecero i suoi discendenti Giuseppe Vannucchi, rivalorizzò il parco e Carlo, insigne musicista, la trasformò in un vero e proprio centro musicale e culturale.
Nel 1939 la villa venne sottoposta a vincolo ma non la salvò dalla distruzione della Seconda Guerra Mondiale, in aggiunta il Vesuvio eruttò.
Fu solo l’inizio del declino, continuò a perdere pezzi e il terribile terremoto 1980 assestò l’ultimo duro colpo alla struttura già fatiscente (per vedere com'era basta vedere il grande Troisi). Fortunatamente, nel 1984 la villa venne comprata dal comune di San Giorgio Cremano dall'ultimo erede dei Vannucchi.
Nel 1998 iniziarono i lavori di restauro terminati nel 2009 con il completamento del parco restaurato secondo il progetto originario voluto da Giacomo d'Aquino principe di Caramanico. Grazie ai restauri, e nonostante la perdita di stucchi, pavimenti e affreschi, si può ammirare una grandiosa villa luogo di diletto e di ozio e un imponente giardino con alberi e fiori che piano piano stanno diffondendo il loro profumo.
Il giardino di villa Caramanico detta poi di Vannucchi
In generale, il giardino della villa vesuviana è stato il frutto di secoli di studi sulla botanica che è partita dai giardini conventuali, passando per quelli cinquecenteschi per approdare in quelli delle ville-masseria, dove i giardini furono adoperati come dei veri e propri laboratori botanici usati per capire come migliorare la coltura, la produzione agricola e frutticola. Questi studi ante-litteram sfoceranno in studi sistematici di botanica che, durante l’età dei Lumi a Napoli e nel vesuviano, porteranno ad una ottimizzazione produttiva del terreno e al miglioramento di molte produzioni agricole le quali, oggi, possono fregiarsi dei marchi DOP, IGP e DOC.
Accanto alla vera e propria produzione agricola, gli studi botanici trovarono un altro sbocco molto più, per così dire, “frivolo”, ossia migliorare le piante e fiori da giardino per renderli sempre più belli. Questa nuova funzione edonistica portò a una diffusione, quindi al commercio, di piante e fiori esotici o rari che si affiancavano ai profumi tipici delle nostre zone mediterranee, quali: agrumi, arbusti profumati e piante aromatiche. Furono, così, creati degli angoli di paradiso ottenuti grazie al perfezionamento delle conoscenze botaniche che unite all'antica arte dei giardini napoletani, già molto conosciuta e apprezzata dal Cinquecento in poi, e all'ingegneria idraulica, usata per migliorare i giochi d’acqua e l’irrigazione delle piante, permisero la realizzazione di giardini sempre lussureggianti e profumati in ogni periodo dell’anno. A quanto detto, vanno aggiunti i giochi prospettici, panche per il riposo, coffee- house, ninfei e statue tutti inseriti per suscitare stupore in chi li guardava. Per farci un’idea basta guardare il giardino della Reggia di Caserta anche se è un esempio regale, ma certamente i parchi delle ville vesuviane non erano da meno stando a quanto si legge nelle fonti storiche.
Anche il giardino di villa Caramanico-Vannucchi rispecchia quanto detto, infatti, divenne uno dei giardini in stile rococò più ammirati dai contemporanei. Esso è diviso in quattro grosse aree: una parte a bosco, una a frutteto, entrambi posti ai lati del perimetro; le altre due parti erano abbellite da fioriere e da piante aromatiche. Il viale principale, che da una percezione di spazio infinito, collegava la villa al romitorio-cisterna, un piccolo palazzo adibito sia a cisterna sia a deposito (oggi è un palazzo privato separato dal parco). Dalla fontana centrale partono a raggiera ben 16 viali più piccoli che erano abbelliti, come si legge dalle fonti storiche, da statue e panche, oggi perdute.
Accanto alla vera e propria produzione agricola, gli studi botanici trovarono un altro sbocco molto più, per così dire, “frivolo”, ossia migliorare le piante e fiori da giardino per renderli sempre più belli. Questa nuova funzione edonistica portò a una diffusione, quindi al commercio, di piante e fiori esotici o rari che si affiancavano ai profumi tipici delle nostre zone mediterranee, quali: agrumi, arbusti profumati e piante aromatiche. Furono, così, creati degli angoli di paradiso ottenuti grazie al perfezionamento delle conoscenze botaniche che unite all'antica arte dei giardini napoletani, già molto conosciuta e apprezzata dal Cinquecento in poi, e all'ingegneria idraulica, usata per migliorare i giochi d’acqua e l’irrigazione delle piante, permisero la realizzazione di giardini sempre lussureggianti e profumati in ogni periodo dell’anno. A quanto detto, vanno aggiunti i giochi prospettici, panche per il riposo, coffee- house, ninfei e statue tutti inseriti per suscitare stupore in chi li guardava. Per farci un’idea basta guardare il giardino della Reggia di Caserta anche se è un esempio regale, ma certamente i parchi delle ville vesuviane non erano da meno stando a quanto si legge nelle fonti storiche.
Anche il giardino di villa Caramanico-Vannucchi rispecchia quanto detto, infatti, divenne uno dei giardini in stile rococò più ammirati dai contemporanei. Esso è diviso in quattro grosse aree: una parte a bosco, una a frutteto, entrambi posti ai lati del perimetro; le altre due parti erano abbellite da fioriere e da piante aromatiche. Il viale principale, che da una percezione di spazio infinito, collegava la villa al romitorio-cisterna, un piccolo palazzo adibito sia a cisterna sia a deposito (oggi è un palazzo privato separato dal parco). Dalla fontana centrale partono a raggiera ben 16 viali più piccoli che erano abbelliti, come si legge dalle fonti storiche, da statue e panche, oggi perdute.
Dell’originaria piantumazione settecentesca sopravvive solo l’area adibita a boschetto, per capirci è quella che si trova lungo via Roma, e tra i vari alberi troviamo anche un bel canforo. Della sistemazione ottocentesca sopravvivono solo i tipici pini mediterranei, che si possono ammirare lungo via Cavalli di Bronzo, e alcuni alberi presenti qua e là nel giardino, chiaramente riconoscibili dai fusti decisamente grandi, tutto il resto, compreso le aiuole, sono frutto del restauro del 2009.
Con quest’ultima nota, completo la storia della villa ma vi rimando alla quarta parte del racconto per svelarvi il mistero che si nascondeva dietro a dei "semplici" viali che ornano il parco.
*Veduta dall'alto del parco di villa Vannucchi, la foto della villa dall'alto è stata presa da questo sito.
Con quest’ultima nota, completo la storia della villa ma vi rimando alla quarta parte del racconto per svelarvi il mistero che si nascondeva dietro a dei "semplici" viali che ornano il parco.
*Veduta dall'alto del parco di villa Vannucchi, la foto della villa dall'alto è stata presa da questo sito.
CONGRATULAZIONI PER L'OTTIMA PRESENTAZIONE E DELL'ARGOMENTAZIONE TRATTATA. TROVA RISCONTRO STORICO, QUANTO ESPOSTO RIFERITO ALLA CASATA '' CARAMANICO '' CHE VEDE NEL 1719 IL MATRIMONIO TRA NICOLETTA CARAMANICO Y DUAL DUALES, FIGLIA DI DON GERONIMO CARAMANICO ALFIERE DI S.M. CARLO; E IL MIO SESTAVOLO ( lato materno ) DON FELICE ANTONIO MINEI GIURECONSULTO. HO APPREZZATO, IN QUESTA SUA PUBBLICAZIONE; I RIFERIMENTI STORICI E LOCALI CHE IN PARTE SONO APPARTENUTI ALLA CASATA ''MINEI'' SINO AL SECOLO 1900, VENGONO IN PICCOLA PARTE, MENZIONATI NEL TESTO DI MIA PROSSIMA PUBBLICAZIONE, RIGUARDANTE LA STORIA DEI '' MINEI '' E DEL PALAZZO MINEI A NAPOLI; DAL 1600 AL 2021. ANCRA GRAZIE E CORDIALITA' - DI BERNARDO ANTONIO ( nipote materno dei MINEI )
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