Le ville vesuviane sono degli esempi architettonici unici nel loro genere perché è unico il contesto socio-culturale in cui sorsero. Esse furono il manifesto culturale e politico della corte borbonica, di una classe dirigente e di una nobiltà partenopea. Se avrete la pazienza di leggermi, vi spiegherò il perchè, andiamo alla scoperta delle ville vesiviane.
Nel post precedente ho spiegato solo alcune delle motivazioni che spinsero re Carlo di Borbone a scegliere Portici come centro per la sua residenza estiva, non ho illustrato, però, il suo ambizioso progetto culturale e politico la cui attuazione comportò una profonda trasformazione sia dell’area costiera sia di alcune zone interne campane.
Egli voleva trasformare Napoli in una grande capitale europea e decise di realizzare un complesso programma di sviluppo urbanistico che divenne il manifesto della sua complessa illuminata visione politica. Tale progetto comportò un nuovo rilancio economico delle cosiddette zone “periferiche” ma strategicamente importanti rispetto al centro storico di Napoli e decise di farle sviluppare attraverso la costruzione di nuovi ed imponenti edifici; fulcri nevralgici di questi nuovi centri divennero le imponenti residenze di Capodimonte,del Palazzo Reale - originariamente costruite lontane dal centro storico ma tale distanza oggi è stata colmata-, di Caserta e di Carditello.
Frutto, invece, di una visione sociale illuminata, continuata anche da suo figlio Ferdinando IV di Borbone, fu la costruzione di nuovi poli industriali d’avanguardia come: il Real Sito di San Leucio, il Real Opificio Borbonico di Pietrarsa e il Real Albergo dei Poveri. Ciò servì non solo a decongestionare la capitale del regno ma anche per far sentire, come diremmo noi oggi, lo “Stato” più vicino ai sudditi, per controllare meglio l’aristocrazia del regno e mostrare, inevitabilmente, la potenza della famiglia borbonica.
Egli voleva trasformare Napoli in una grande capitale europea e decise di realizzare un complesso programma di sviluppo urbanistico che divenne il manifesto della sua complessa illuminata visione politica. Tale progetto comportò un nuovo rilancio economico delle cosiddette zone “periferiche” ma strategicamente importanti rispetto al centro storico di Napoli e decise di farle sviluppare attraverso la costruzione di nuovi ed imponenti edifici; fulcri nevralgici di questi nuovi centri divennero le imponenti residenze di Capodimonte,del Palazzo Reale - originariamente costruite lontane dal centro storico ma tale distanza oggi è stata colmata-, di Caserta e di Carditello.
Frutto, invece, di una visione sociale illuminata, continuata anche da suo figlio Ferdinando IV di Borbone, fu la costruzione di nuovi poli industriali d’avanguardia come: il Real Sito di San Leucio, il Real Opificio Borbonico di Pietrarsa e il Real Albergo dei Poveri. Ciò servì non solo a decongestionare la capitale del regno ma anche per far sentire, come diremmo noi oggi, lo “Stato” più vicino ai sudditi, per controllare meglio l’aristocrazia del regno e mostrare, inevitabilmente, la potenza della famiglia borbonica.
La scelta di Portici, quindi, si basò sulla bellezza paesaggistica e su motivi strategici poichè la Reggia porticese inglobò un tratto della Strada Regia delle Calabrie permettendo a Carlo III di Borbone di controllare meglio il traffico mercantile per terra, e fece estendere la sua residenza fino al porto del Granatello per controllare meglio il traffico marittimo.
Il posto ameno e la saggia esenzione fiscale del sito trasformarono Portici da semplice casale in un nuovo centro culturale e dedito al commercio che coinvolse nello sviluppo tutta la zona costiera fino a Castellamare di Stabia.
Uno dei strumenti propagandistici ben sfruttati dal Carlo III fu l'architettura e gli architetti divennero gli attuatori, attraverso i loro bellissimi edifici, dell’ideologia illuministica promossa dal Re e dalla sua classe dirigente. Anche molte ville vesuviane furono progettate dai più importanti architetti del tempo, tra i quali troviamo Ferdinando Sanfelice, i Vaccaro che si costruirono anche una villa andata perduta, Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli e dai migliori allievi delle loro scuole.
Il posto ameno e la saggia esenzione fiscale del sito trasformarono Portici da semplice casale in un nuovo centro culturale e dedito al commercio che coinvolse nello sviluppo tutta la zona costiera fino a Castellamare di Stabia.
Uno dei strumenti propagandistici ben sfruttati dal Carlo III fu l'architettura e gli architetti divennero gli attuatori, attraverso i loro bellissimi edifici, dell’ideologia illuministica promossa dal Re e dalla sua classe dirigente. Anche molte ville vesuviane furono progettate dai più importanti architetti del tempo, tra i quali troviamo Ferdinando Sanfelice, i Vaccaro che si costruirono anche una villa andata perduta, Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli e dai migliori allievi delle loro scuole.
Gli ingredienti delle “delizie” vesuviane sono: lo Sterminator Vesevo, il mare azzurro e l’ingegno architettonico.
Le ville furono lo specchio dell’alta società e nobiltà napoletana, entrambe intrise di una cultura barocca e di una nuova visione illuministica che in Europa, così come nel Regno delle due Sicilie, si stava affermando.
Ogni villa ha una sua storia affascinate e complessa ma, non potendovele raccontare tutte, ma posso dirvi che ci sono degli aspetti generali su tali edifici che meritano di essere evidenziati poi, se uno riesce, vederle da vicino è ancora meglio.
Tali residenze furono costruite prevalentemente durante tutto il Settecento ma il nucleo principale fu realizzato tra il 1745 e il 1765. Quasi tutte le ville presentano soluzioni architettoniche originali tanto da essere considerate, chi più chi meno, pregevoli testimonianze dell’architettura barocca e rococò napoletana che si caratterizzò per l’accentuata teatralità degli spazi e dei particolari ornamentali. Esempi costruiti sul finire del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, invece, risentono dell’influenza Neoclassica.
Tali ville furono, lo specchio di una nobiltà napoletana ancora intrisa di cultura barocca tanto da concepire le loro vite come delle rappresentazioni teatrali e trasformare le loro residenze in palcoscenici per ospitare incontri politici e simposi organizzati per discutere insieme ai propri pari sulle tematiche più varie e di mostrare, contemporaneamente, le proprie ricchezze.
Gli ambenti si presentavano collegati tra loro con soluzioni architettoniche originali in cui ogni stanza, terrazzo, giardino era progettato per affascinare e mostrare scorci paesaggistici in cui si poteva ammirare lo Sterminato Vesevo (così i latini chiamavano il Vesuvio) con il suo pennacchio fumante e il mare azzurro, entrambi usati come delle vere e proprie quinte teatrali che incorniciavano le ville e il loro giardino.
Ogni villa aveva una doppia facciata, quella rivolta verso la trafficatissima “Strada regia delle Calabrie” si presentava come il prospetto di un palazzo di città abbastanza statica, la facciata posteriore, invece, si caratterizzava per una maggiore vivacità fatta di terrazzi, loggiati e finestre.
Ciò incise profondamente sulla progettazione e distribuzione degli spazi interni ed esterni basati sulla sequenza portone-atrio-cortile-esedra-giardino, poi si accedeva alla zona coltivata; gli ambienti si dispongono lungo questa direttrice in modo simmetrico.
Ogni villa ha una sua storia affascinate e complessa ma, non potendovele raccontare tutte, ma posso dirvi che ci sono degli aspetti generali su tali edifici che meritano di essere evidenziati poi, se uno riesce, vederle da vicino è ancora meglio.
Tali residenze furono costruite prevalentemente durante tutto il Settecento ma il nucleo principale fu realizzato tra il 1745 e il 1765. Quasi tutte le ville presentano soluzioni architettoniche originali tanto da essere considerate, chi più chi meno, pregevoli testimonianze dell’architettura barocca e rococò napoletana che si caratterizzò per l’accentuata teatralità degli spazi e dei particolari ornamentali. Esempi costruiti sul finire del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, invece, risentono dell’influenza Neoclassica.
Tali ville furono, lo specchio di una nobiltà napoletana ancora intrisa di cultura barocca tanto da concepire le loro vite come delle rappresentazioni teatrali e trasformare le loro residenze in palcoscenici per ospitare incontri politici e simposi organizzati per discutere insieme ai propri pari sulle tematiche più varie e di mostrare, contemporaneamente, le proprie ricchezze.
Gli ambenti si presentavano collegati tra loro con soluzioni architettoniche originali in cui ogni stanza, terrazzo, giardino era progettato per affascinare e mostrare scorci paesaggistici in cui si poteva ammirare lo Sterminato Vesevo (così i latini chiamavano il Vesuvio) con il suo pennacchio fumante e il mare azzurro, entrambi usati come delle vere e proprie quinte teatrali che incorniciavano le ville e il loro giardino.
Ogni villa aveva una doppia facciata, quella rivolta verso la trafficatissima “Strada regia delle Calabrie” si presentava come il prospetto di un palazzo di città abbastanza statica, la facciata posteriore, invece, si caratterizzava per una maggiore vivacità fatta di terrazzi, loggiati e finestre.
Ciò incise profondamente sulla progettazione e distribuzione degli spazi interni ed esterni basati sulla sequenza portone-atrio-cortile-esedra-giardino, poi si accedeva alla zona coltivata; gli ambienti si dispongono lungo questa direttrice in modo simmetrico.
Le scale, che noi usiamo semplicemente per salire ai vari piani, in queste ville divennero delle vere e proprie scenografie architettoniche che, insieme ai ballatoi, consentivano di aprire degli squarci verso “quadri naturali” i quali erano realizzati dalla sapienza del giardiniere e incorniciati dalla bellezza del sito vesuviano (purtroppo l’eccessiva cementificazione non permette più di apprezzare questi scorci).
Stessa attenzione era posta per le scale esterne, dette “scale aperte”, con archi rampanti che collegano il giardino con gli interni attraverso terrazzi, logge, grandi finestre, tutto progettato per rimanere “deliziati”.
Stessa attenzione era posta per le scale esterne, dette “scale aperte”, con archi rampanti che collegano il giardino con gli interni attraverso terrazzi, logge, grandi finestre, tutto progettato per rimanere “deliziati”.
Altro elemento importantissimo nella villa vesuviana era affidato al giardino, lussureggiante in ogni periodo dell’anno, ricco di fontane per fare interessanti giochi d’acqua, panche, statue, coffee house, ninfei, erano il frutto di una sapienza agronoma e d’ingegneria idraulica. Purtroppo pochissimi ne sono sopravvissuti ma, per comodità, ve ne parlerò nella terza parte della storia…….
……..A presto
Villa Campolieto, facciata rivolta verso il mare.
……..A presto
Villa Campolieto, facciata rivolta verso il mare.
sono rimasto affascinato dalla lettura e dalla meticolosa descrizione di tante storiche opere d'arte che il tempo ha avvolto di nebbie. non credevo che ci sono per fortuna ancora persone che riescono a dare vita al passato. la ringrazio di cuore
RispondiEliminaGrazie, la passione porta a squarciare la nebbia che avvolge ogni piccola o grande opera del passato. A presto
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