martedì 27 giugno 2017

L’affascinante mondo della gladiatura; le donne nell’anfiteatro di Pozzuoli


Il complesso mondo dei gladiatori non finisce mai di affascinare né di stupire e la visita all'anfiteatro di Pozzuoli mi permette di parlare di un altro aspetto della gladiatura quello dedicato alle donne combattenti nell'arena. 

Ebbene si, le donne nell’arena non entravano solo come semplici spettatrici, come ammiratrici disposte a tutto pur di incontrare e di condividere momenti unici con i loro amati gladiatori, le donne combattevano nell’arena, si, avete letto bene, il gentil sesso si allenava e si esibiva nell’arena come i colleghi uomini ed erano molto apprezzate.
Benvenuti nella gladiatura tutta al femminile.

Il gentil sesso e la gladiatura nell'anfiteatro di Pozzuoli

Ebbene si le donne si allenavano, combattevano nell'arena e ed erano idolatrate proprio come i loro colleghi uomini ma non entrarono subito nei "munera gladiatoria" perché durante l’Età Repubblicana i ludi avevano ancora un carattere religioso e i combattimenti erano organizzati solo tra gli schiavi maschi, nel dettaglio vi rimando ad un mio post sull'origine della gladiatura, tutto però cambiò con Augusto. 

Sotterranei dell'anfiteatro di Pozzuoli dove le gladiatrici, le beste
si preparavano per salire nell'arena
Egli si rese conto che i ludi avevano perso molto della sacralità del rito così decise di riorganizzarli e ridefinì le regole di combattimento per arginare anche il fenomeno ormai diffusissimo di usarli come strumenti politici e propagandistici. 

Con Augusto le donne entrarono ufficialmente nell'arena, ma ogni imperatore si comportò in modo ambiguo su tale fenomeno, oscillava tra il volersi mostrare garante e rispettoso della morale pubblica limitando il ruolo della donna nell'arena o nel teatro e tra il desiderio di rivaleggiare con i predecessori entrando nella storia come l’ideatore e il finanziatore dei giochi più stupefacenti. Quest’ultimo desiderio ebbe spesso la meglio così ogni imperatore cercò, spendendo tantissimo, di organizzare gli eventi più spettacolari di sempre, che prevedevano il far partecipare il più alto numero di scuole gladiatorie, di far combattere nani, mostrare nuove bestie feroci e sconosciute, di allestire ricostruzioni storiche in cui si raffigurava la vittoria di Roma sui nemici, condanne al supplizio sempre più cruenti e spettacolari, insomma cercavano di mettere in scena sempre qualcosa di mai visto prima pur di sbalordire e ingraziarsi gli spettatori, le donne gladiatrici entrarono nell'arena proprio per meravigliare il pubblico

Ciò fu permesso grazie alla presenza sempre più marcata della donna nel mondo dello spettacolo e al suo modo unico di entrare in scena, infatti a teatro recitava spesso nuda, nella gladiatura, invece, combatteva semi nuda, indossava le armi di difesa e di offesa, ovviamente le mise succinte permettevano di creare l’evento nell'evento dove i combattimenti tra le gladiatrici avveniva sempre dopo quelli maschili; Nerone organizzò nell'anfiteatro di Pozzuoli, in occasione dei ludi in onore della madre, i combattimenti tra uomini e donne di rango equestre e senatorio sia contro le bestie, venationes, che come gladiatori e gladiatrici, lo stesso fece l’imperatore Domiziano che, per agevolare la vista dello spettacolo in notturna, fece illuminare con numerosissime torce l’anfiteatro puteolano, il pubblicò gioì, un po’ meno chi li finanziava. 

Sotterranei dell'anfiteatro di Pozzuoli, immaginateveli pullulanti di schiavi e addetti
alle scenografie
Le donne, quindi, combattevano sia tra loro che contro le bestie, come gli uomini, e piacevano moltissimo al pubblico tanto che non mancarono tentativi di arginare tale fenomeno, infatti l’imperatore Settimio Severo, nel 200 d.C. promulgò un divieto per la donna di combattere nell’arena, divieto non del tutto rispettato. Non fu l’unico a cercare di ridimensionare tale fenomeno, diversi imperatori cercarono di proibire che diventassero gladiatori e gladiatrici i rampolli e le fanciulle delle classi più agiate poiché alla fama, alla ricchezza e alla venerazione nell'arena si contrapponeva la dura legge e il duro rigore morale romano che etichettava come infamanti tutte quelle professioni legate al mondo dello spettacolo, una volta marchiati d’infamia si perdeva ogni diritto civile e sociale, in poche parole chi voleva entrare in questo duro mondo doveva abiurare la propria origine e rinunciare alla propria eredità, cosa non proprio gradita dalle illustri famiglie. 

Le fonti storiche sulle gladiatrici

Bassorilievo di Alicarnasso*
Nonostante sia un mondo ancora poco studiato non mancano testimonianze archeologiche che provano la presenza delle gladiatrici nei combattimenti; da una iscrizione rinvenuta nel porto di Ostia del III sec. si capisce che il divieto delle donne di entrare nell'arena di Settimio Severo non era rispettato; sul bassorilievo del II d.C proveniente da Alicarnasso, conservato al British di Londra sono raffigurate due donne gladiatrici, Amazon e Achilia, pseudonimi da combattimento, raffigurate mentre combattevano nell'arena. Tale bassorilievo voleva essere un omaggio alle due gladiatrici congedate dal ludo, come testimonia la  scritta “misse sunt”, dove si erano distinte per bravura e coraggio. 
Da queste fonti sappiamo che l’abbigliamento delle gladiatrici era simile a quello degli uomini così come l’allenamento e la rigorosa vita nelle scuole gladiatorie separate, ovviamente, da quelle maschili.

Il marchio d’infamia

Il mondo della gladiatura, e dello spettacolo in generale, faceva impazzire il romano che lo vedeva come un mezzo veloce per la celebrità- le effigi dei gladiatori e delle gladiatrici più amati decoravano vari gadget di uso comune-, la gloria nel tempo e la ricchezza ( i gladiatori non sempre morivano nell'arena, potevano morire dopo per le ferite riportate ma i lanisti e gli organizzatori non erano proprio favorevoli a perdere la loro fonte di guadagno e di consenso, chi moriva nell'arena in molto fantasioso e atroce era il semplice condannato a morte non al gladio).

Cavea dell'anfiteatro di Pozzuoli; puri di sentire urlale il proprio nome si rinunciava a tutto.
Oggi lo spettatore pennuto guarda il turista
Ma a fare da contraltare a questa spropositata fama, al guadagno e alla gloria ci stava la denigrazione giuridica e sociale, e sì, per la legge romana tutte le figure che lavoravano nel mondo dello spettacolo come i gladiatori, gli aurighi, attori e tutti i protagonisti dei ludi erano collocati in una posizione socialmente inferiore, perdevano ogni diritto civile e non potevano intraprendere nessuna carriera pubblica. Ciò sarebbe normale visto che molti gladiatori erano schiavi, prigionieri di guerra o condannati al gladio, ma molti cittadini romani sceglievano volontariamente di far parte di questo spietato e crudele mondo dello spettacolo, molti provenivano sia da ceti umili sia dalle famiglie patrizie, tutti decidevano volontariamente di essere tacciati di infamia pur di intraprendere una carriera nel mondo del teatro o dell’arena. 

Questi cittadini e cittadine romane volontariamente perdevano i loro diritti per diventare quasi degli schiavi e come tali si rimettevano totalmente alla volontà del lanista che poteva disporre di loro come più voleva, ovviamente non venivano trattati come gli altri schiavi, però il fatto che rinunciavano volontariamente a tutto pur di combattere nell’arena fa capire quanto questi spettacoli fossero importanti e amati dai romani.   

I gladiatori e le gladiatrici volontari venivano trattati diversamente, si addestravano negli ergastula e non nella palestra gladiatoria, ricevevano un allenamento più professionale da istruttori diversi rispetto agli altri, questi gladiatori venivano chiamati auctorates perché sceglievano l’auctoramentum cioè l’atto o suggello sacrale attraverso il quale si rimettevano totalmente al lanista, ciò gli garantiva un trattamento speciale non uno sconto sulla dura e difficile ars gladiatoria. 
 
Biglietto d'ingresso agli spettacoli in osso rinvenuto negli scavi di Pompei**
Gli auctorates venivano indicati sui calendari dei combattimenti con la sigla “ liber-libero” accanto alla loro specializzazione, sempre su questi calendari si poteva trovare un’altra sigla “libert- liberto” che stava ad indicare un'altra figura gladiatoria quella che noi oggi chiameremmo libero professionista, un gladiatore indipendente il quale decideva autonomamente di combattere poiché era libero da ogni rapporto con un lanista; queste nuove figure spiegano bene il complesso mondo della gladiatura dove oltre allo schiavo o al condannato al gladio senza diritto, troviamo chi sceglieva volontariamente di perderli pur di seguire il proprio “sogno” nell’arena.

Nonostante l’infamia, cosa strana visto che nel mondo greco il teatro e lo sport erano nobili attività ben viste e praticate, fu una vera moda tra i membri del ceto senatorio ed equestre meno inclini alla formalità sociale, moda iniziata già sul fine dell’età Repubblicana in seguito all’aumento delle rappresentazioni sceniche organizzate sia per la commemorazione di eventi politici che per quelli privati, moda che ogni imperatore cercava sempre di arginare.

Per ora mi fermo qua, nei prossimi post vi svelerò altri segreti sul mondo dei gladiatori e delle gladiatrici e molte curiosità sull'anfiteatro di Pozzuoli, il terzo più grande d’Italia e con i sotterranei meglio conservati.
A presto.

* foto presa da Wikipedia 
** foto presa dalla Pagina Ufficiale Facebook della Soprintendenza di Pompei.

Per tutte le informazioni sull'apertura al pubblico dell'anfiteatro di Pozzuoli, leggere qui

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