L’area flegrea è un posto bellissimo che ha incantato gli antichi per la sua terra fertile, per il mare e per il clima. Da zona di puro passaggio commerciale nel Tirreno divenne una zona centralissima per il commercio marittimo dei greci conquistatori e della Roma imperiale.
Dal Medioevo in poi tale centralità fu perduta a causa del forte bradisismo, delle varie eruzioni, una molto violenta si ebbe nel 1538, che limitarono lo sfruttamento del territorio, il cambiamento politico e la scelta dei vari regnati di preferire e agevolare il porto di Napoli rispetto a quello di Pozzuoli.
Oggi, purtroppo, la bellezza della zona è stata messa a dura prova dall'eccessiva antropizzazione ma, fortunatamente, molti posti ancora incantano.
Oggi, purtroppo, la bellezza della zona è stata messa a dura prova dall'eccessiva antropizzazione ma, fortunatamente, molti posti ancora incantano.
Inizio questa narrazione da una delle testimonianze più affascinati dell’ingegneria romana giunta fino a noi, parlo della Piscina Mirabilis, o Mirabile, come si preferisce.
Non mancavano collegamenti “minori” che mettevano in comunicazione Napoli con l’area flegrea e tutta la costa fino a Punta Campanella passando per Sorrento, la via Flegrea; Pozzuoli, invece, si collegava con Cuma, Napoli e Capua attraverso la realizzazione della via Consularis Campana, il cui tracciato è ancora ben visibile se uno percorre il tratto che taglia la montagna Spaccata, che è costellata da una serie di monumenti sepolcrali. Si deve a Domiziano invece, un’altra importantissima strada realizzata nel 95 d.C che collegava Pozzuoli a Sinuessa, oggi Sessa Aurunca, da qui poi si congiungeva all'Appia per andare verso Roma, parlo della via Domitiana: fu progettata per potenziare tutta la zona costiera e collegare agevolmente il porto di Pozzuoli al golfo di Napoli, a discapito, però, delle zone interne. La strada è ancora oggi utilizzata nella normale viabilità tanto che se si va verso Cuma si attraversa la sua antica porta d’ingresso chiamata Arco Felice.
Gli acquedotti
Sotto Augusto la Campania, considerata una costola di Roma, fu investita da un complesso programma in cui furono realizzate moltissime infrastrutture civili e militari; fu sviluppata e intensificata la rete viaria che univa i principali centri come: Capua, Teano, Alife, Benevento, Avellino, Nola, Nocera, Salerno, Napoli a Roma.Non mancavano collegamenti “minori” che mettevano in comunicazione Napoli con l’area flegrea e tutta la costa fino a Punta Campanella passando per Sorrento, la via Flegrea; Pozzuoli, invece, si collegava con Cuma, Napoli e Capua attraverso la realizzazione della via Consularis Campana, il cui tracciato è ancora ben visibile se uno percorre il tratto che taglia la montagna Spaccata, che è costellata da una serie di monumenti sepolcrali. Si deve a Domiziano invece, un’altra importantissima strada realizzata nel 95 d.C che collegava Pozzuoli a Sinuessa, oggi Sessa Aurunca, da qui poi si congiungeva all'Appia per andare verso Roma, parlo della via Domitiana: fu progettata per potenziare tutta la zona costiera e collegare agevolmente il porto di Pozzuoli al golfo di Napoli, a discapito, però, delle zone interne. La strada è ancora oggi utilizzata nella normale viabilità tanto che se si va verso Cuma si attraversa la sua antica porta d’ingresso chiamata Arco Felice.
Sopra Arco Felice da Cuma. Sotto particolare della Tavola Peuntingheriana con una parte della viabilità romana |
In un altro vasto progetto che coinvolse questa zona fu l’ampliamento a fini militari del porto di Miseno- in parte perduto a causa del bradisismo ed eruzioni che hanno modificato la costa- inserito nel più ampio e complesso progetto del Portus Iulius. L’obiettivo principale di tale nuovo e imponete porto era la possibilità di far stanziare, addestrare, proteggere e riparare l’imponente flotta romana che all'occorrenza poteva muoversi tra Miseno e Cuma attraversando complessi canali d’acqua artificiali e tunnel stradali che coinvolgevano il lago Lucrino, usato anche come serbatoio ittico e allevamento di ostriche, e il lago D’Averno. Inoltre doveva proteggere anche il porto commerciale di Pozzuoli che, a sua volta, era strettamente legato al rifornimento di Roma. Fu realizzata solo una parte di questa imponente opera, tale storia ve la racconterò in seguito.
Accanto al miglioramento della viabilità e del sistema difensivo, troviamo altri complessi lavori d’ingegneria civile tra i quali spiccano gli acquedotti le cui vestigia ci affascinano per come sono stati costruiti e per la loro sopravvivenza alla storia.
Da un punto di vista tecnico, i romani sfruttavano saggiamente la conformazione del territorio e la loro abilità nel costruire archi e ipogei. Il tracciato veniva definito attraverso appositi strumenti tecnici come il chorobates (simile alla livella) che permetteva di segnare, ad intervalli regolari, le distanze verticali tra la linea immaginaria e il terreno, si tracciava così il corso dell’acquedotto. Una volta costruito, l’acqua, prima di essere incanalata in apposite condutture di piombo, passava per delle vasche di decantazione, le piscinae limariae, presenti lungo tutto il tragitto dell’acquedotto, dove, scorrendo più lentamente, l’acqua perdeva ogni impurità.
Gran parte del suo percorso avveniva sottoterra e solo quando c’era da superare un ostacolo naturale l’acquedotto saliva in superficie attraverso imponenti e maestose strutture ad arco. Il centro per la gestione degli acquedotti era Roma, la potente figura preposta al loro controllo era il curator aquarum, che gestiva un complesso staff composto d’architetti, da ingegneri, da tecnici e da centinaia di schiavi “pubblici” sfruttati come manutentori dello Stato.
Nel territorio campano sicuramente il più complesso e imponente acquedotto romano, iniziato per volere di Augusto, era quello del Serino. La sua realizzazione lo rendeva un’opera d'ingegneria idraulica senza precedenti sia da un punto di vista architettonico sia per la lunghezza: partiva dai monti del Serino, provincia di Avellino, e per ben 96 km di ampi viadotti, profonde gallerie e trafori per attraversare ogni ostacolo naturale arrivava fino a Napoli, entrava dal vallone dei Ponti Rossi, così chiamati dalle superstiti arcate laterizie del viadotto. Da Napoli, attraversando la collina del Vomero, giungeva a Pozzuoli, a Cuma e terminava a Miseno. Lungo il percorso e con varie diramazioni alimentava città grandi come Nola, Atella, Acerra, Pompei.
Da un punto di vista tecnico, i romani sfruttavano saggiamente la conformazione del territorio e la loro abilità nel costruire archi e ipogei. Il tracciato veniva definito attraverso appositi strumenti tecnici come il chorobates (simile alla livella) che permetteva di segnare, ad intervalli regolari, le distanze verticali tra la linea immaginaria e il terreno, si tracciava così il corso dell’acquedotto. Una volta costruito, l’acqua, prima di essere incanalata in apposite condutture di piombo, passava per delle vasche di decantazione, le piscinae limariae, presenti lungo tutto il tragitto dell’acquedotto, dove, scorrendo più lentamente, l’acqua perdeva ogni impurità.
Gran parte del suo percorso avveniva sottoterra e solo quando c’era da superare un ostacolo naturale l’acquedotto saliva in superficie attraverso imponenti e maestose strutture ad arco. Il centro per la gestione degli acquedotti era Roma, la potente figura preposta al loro controllo era il curator aquarum, che gestiva un complesso staff composto d’architetti, da ingegneri, da tecnici e da centinaia di schiavi “pubblici” sfruttati come manutentori dello Stato.
Nel territorio campano sicuramente il più complesso e imponente acquedotto romano, iniziato per volere di Augusto, era quello del Serino. La sua realizzazione lo rendeva un’opera d'ingegneria idraulica senza precedenti sia da un punto di vista architettonico sia per la lunghezza: partiva dai monti del Serino, provincia di Avellino, e per ben 96 km di ampi viadotti, profonde gallerie e trafori per attraversare ogni ostacolo naturale arrivava fino a Napoli, entrava dal vallone dei Ponti Rossi, così chiamati dalle superstiti arcate laterizie del viadotto. Da Napoli, attraversando la collina del Vomero, giungeva a Pozzuoli, a Cuma e terminava a Miseno. Lungo il percorso e con varie diramazioni alimentava città grandi come Nola, Atella, Acerra, Pompei.
Piscina Mirabile
I vari acquedotti terminavano con dei giganteschi serbatoi d’acqua e sicuramente tra di essi spicca per maestosità la Piscina Mirabilis di Bacoli; l’origine di questo nome è legato alla tradizione antiquata settecentesca. E’ una gigantesca cisterna a pianta rettangolare, lunga 70 metri, larga 25,50 e alta 15 metri, scavata nel banco di tufo di una collina: presentava due ingressi, uno a sord-ovest e un altro a sud-est ma quest’ultimo è stato tompognato. Presenta 48 pilastri disposti su 4 file che sostengono una volta a botte, si divide in 5 navate in senso della lunghezza e in ben 13 navatelle sul lato corto che la fanno assomigliare ad una imponete cattedrale gotica. La cisterna è costruita in opera reticolata con ricorsi in laterizio e i pilastri in tufelli, le une e le are rivestite da uno spesso strato di cocciopesto impermeabile (signinum). Al centro della cisterna incassata e con un piano inclinato troviamo la piscina limara che aveva la funzione di far decantare l’acqua, come scarico per la pulizia e lo svuotamento periodico della cisterna.
La piscina funzionava attraverso una serie di portelli che si aprivano e chiudevano lungo le volte presenti nelle navatelle centrali; l’acqua veniva sollevata mediante macchine idrauliche sulla terrazza di apertura della cisterna coperta con il signino che riforniva l’abitato e la flotta a Miseno.
A chi, in realtà, fosse destinata l’acqua della Piscina Mirabilis a tutt'oggi non è molto chiaro e a tal proposito ci sono due tesi principali: la prima e che riforniva l’abitato e la flotta a Miseno; la seconda e che essendo molto distante da Miseno in realtà essa riforniva varie ville nella zona di Bacoli, tesi avvalorata da una serie di ritrovamenti di domus e dalla presenza di una serie di ambienti funzionali ai lati della cisterna, datati tra la fine del I-II sec. d.C, che fungevano da collegamenti ai vari abitati. La flotta e l’abitato a Miseno, invece, erano riforniti da un altro ramo di questo acquedotto. La ricerca archeologica sicuramente saprà dissipare ogni dubbio.
La manutenzione di questo imponente acquedotto fu efficace per tutta la durata dell’Impero; in età Flavia furono costruiti interi tratti paralleli a quelli preesistenti per servire meglio le varie città. Fu restaurato da Costantino, in modo particolare il tratto che serviva Napoli.
Con la fine dell’Impero e con i vari cambiamenti politici e urbanistici, siamo entrati nel pieno Medioevo, l’acquedotto venne abbandonato nella sua manutenzione complessiva, si preferiva mantenere efficienti solo alcuni rami dell’acquedotto e, se era il caso, ricostruiti ex-novo per servire nuove città e abbandonare i vecchi rami inutilizzati. Nonostante ciò, i vari dominatori cercarono di mantenere l’acquedotto del Serino abbastanza efficiente.
L’area flegrea, con la fine di Roma pagana, vide ridimensionata il suo ruolo nell'economia marittima, il bradisismo e l’intensa attività vulcanica contribuirono a penalizzare la zona. I nuovi dominatori preferivano aree meno pericolose o economicamente più interessanti.
Con la fine dell’Impero e con i vari cambiamenti politici e urbanistici, siamo entrati nel pieno Medioevo, l’acquedotto venne abbandonato nella sua manutenzione complessiva, si preferiva mantenere efficienti solo alcuni rami dell’acquedotto e, se era il caso, ricostruiti ex-novo per servire nuove città e abbandonare i vecchi rami inutilizzati. Nonostante ciò, i vari dominatori cercarono di mantenere l’acquedotto del Serino abbastanza efficiente.
L’area flegrea, con la fine di Roma pagana, vide ridimensionata il suo ruolo nell'economia marittima, il bradisismo e l’intensa attività vulcanica contribuirono a penalizzare la zona. I nuovi dominatori preferivano aree meno pericolose o economicamente più interessanti.
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